Abbiamo incontrato Paola Piacenza, giornalista del settimanale IoDonna, filmmaker e curatrice di Colpe di Stato, la sezione del Milano Film Festival che racconta il presente a partire dalla realtà del sistema di potere nel mondo.
Quando è nata la sezione e come è cambiata negli anni?
È stata fondata nel 2005 da Birgit Clari Schüler, io l'ho eredita tre anni fa diventando curatrice dopo un primo anno da collaboratrice. Lo scopo era e continua a essere quello di raccontare la responsabilità dei governi e delle istituzioni. Prima l'attenzione era focalizzata quasi esclusivamente sui contenuti, con documentari sotto forma di inchieste giornalistiche, io ho provato a portare più cinema, con film in cui le contraddizioni si manifestano in maniera più laterale. Dall'anno scorso è presente anche una retrospettiva che quest'anno è dedicata a Eugene Jarecki, regista, sceneggiatore e produttore statunitense che mette il suo talento, la sua intelligenza e la sua inventiva al servizio di una causa.
Come lavori per la selezione dei film?
Insieme a Séverine Petit cerchiamo i film un po' dappertutto, nei vari festival e grazie ai contatti che si creano negli anni. Quello che per me è importante e determina la scelta di un'opera è l'equilibrio che si crea tra le tematiche presenti nei film e la forma.
Qual è stato il primo film a essere selezionato?
È il lungometraggio di apertura, Deux fois le même fleuve. Ho sentito fin da subito che avrebbe dettato la linea di tutta la sezione e sarebbe stato coerente con il resto dei film.
Si tratta di un on the road di due videoartisti di origine israeliana che tornano nel loro paese da turisti per seguire il percorso di John McGregor, un esploratore scozzese che nel XVIII secolo ha disceso il fiume Giordano partendo dalla sorgente e arrivando al lago Tiberiade. Con questo film introspettivo e molto personale, Effi Weiss e Amir Borenstein, residenti da tempo in Belgio, realizzano un'indagine sulla loro identità. Lo scopo è quello di vedere come il luogo viene percepito dagli ebrei della Diaspora da 2000 anni, ma è anche un viaggio simbolico su Israele e sugli israeliani in vacanza.
In Colpe di Stato è presente anche un altro film israeliano, Life Sentences. È una questione che ti sta molto a cuore?
Assolutamente sì. Entrambi i film sono la faccia di una stessa medaglia, il tema dell'identità ritorna infatti nella storia di Nimer Ahmed, figlio di Fauzi al Nimer, arabo di Acca e di una donna ebrea di Nahariya, nato in anni in cui le unioni miste erano ancora possibili. Mi sembrava importante inserirli entrambi nella sezione e approfondire questo tema andando alle radici perché non c'è altro modo per capire quello che avviene da anni in quei luoghi se non partendo da storie personali.
Fino a che punto, secondo te, il cinema può riempire il vuoto lasciato dall'informazione intorno a tematiche politico-sociali?
La crisi che colpisce le grandi aziende editoriali insieme alle inchieste sul campo, che sono sempre meno e realizzate con mezzi insufficienti, hanno portato i filmmaker a prendere il posto lasciato scoperto dai giornalisti. I giornali che si possono permettere di stare in loco e di investire su inchieste di lungo corso sono pochissimi. Sono convinta ci sia un problema di base in quanto la volatilità della cronaca non permette di trasmettere e comprendere determinate realtà come invece può fare un regista con i suoi mezzi e il suo background.
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