I due direttori del MFF festeggiano i cinque anni di matrimonio artistico e ci raccontano equilibri e dinamiche delle ultime edizioni
Alessandro Beretta e Vincenzo Rossini convivono alla direzione artistica del MFF da cinque anni. Sebbene siano estremamente diversi, l’uno completa le frasi dell’altro e trovano sempre un modo di andare d’accordo. Grazie al loro sodalizio il festival gode di un’eterogeneità di altissimo valore, che permette l’inclusione di una fascia di pubblico sempre più grande, attiva e affezionata.
Dirigete insieme MFF da un lustro. Com’è nata la vostra unione?
Alessandro Beretta: Siamo come l’Italia: io sono biondo di Milano, lui è moro di Bari e insieme avevamo l’età giusta di un direttore di festival.
Vincenzo Rossini: A lui piace il cinema stronzo, io sono stronzo con quelli a cui piace il cinema stronzo.
AB: Questa non l’ho capita, ma mi fido! C’è un’animata e costante discussione interna. Dal programma stesso si capisce che le nostre preferenze sono molto difformi e varie. Non cerchiamo certo l’unanimità.
VR: Dopo cinque anni, una delle cose più belle è aver fatto un lavoro di coaching con i selezionatori, che ha prodotto molti risultati. Alcuni di loro, che erano dall’inizio con noi, oggi lavorano in altri festival o svolgono attività importanti. Siamo cresciuti insieme e questo ha permesso al festival di ampliare i contenuti rispetto a quando siamo partiti.
Com’è cambiato il festival rispetto a cinque anni fa e cosa vi proponete per i prossimi anni?
AB: Per adesso l’obiettivo riguarda i prossimi cinque giorni durante i quali dovremo esclusivamente rilassarci! Cinque anni fa c’eravamo posti l’obiettivo di alzare gradualmente il livello della proposta cinematografica. La dimostrazione è avere, in concorso lungometraggi, due autori come Steiner e Périot che avevamo scoperto in passato. Abbiamo dedicato loro un focus per dare il senso di una continuità.
VR: Quest’anno alla Mostra di Venezia ha vinto un esordiente, finalmente è stato dato il giusto valore a un’opera prima! Basta pensare che le opere prime di autori come Godard e Bellocchio erano À bout de souffle e I pugni in tasca… I festival come il nostro prestano grande attenzione proprio alle opere prime e agli esordi.
Quali sono i vostri film preferiti di quest’edizione?
AB: Non abbiamo film preferiti! Il concorso è un panorama: undici proposte di visioni di storie che ci piacciono tutte.
VR: Io faccio due scommesse: la prima è Céline Devaux con Le repas dominical (inConcorso Cortometraggi Gruppo A). Ha la capacità di trattare qualcosa che tutti conosciamo: il disagio. Devaux è una regista giovanissima, ma ha già un enorme talento. La seconda scommessa è Katelijne Schrama, il suo film Georgica, presentato nella sezione The Outsiders, è un’opera forte, di denuncia, oltre che dotata di un incredibile valore poetico.
AB: Sono felice di aver realizzato un programma in Cineteca insieme agli Zapruder filmmakersgroup che fanno un cinema che pare quasi fantascienza. Siamo riusciti a portare Speak In Tongues in anteprima italiana. È un cinema enigmatico e molto divertente, capace di spiegare come funziona la visione. Un’altra soddisfazione è aver proiettato Nitrate Flames, del regista argentino Mirko Stopar, dedicato alla storia di Renée Falconetti. Un film d’archivio, senza archivio. Chi se la ricordava Renée Falconetti? Certo, è la Giovanna d’Arco di Dreyer. Il suo personaggio sembra uscito da un romanzo di Roberto Bolaño.
Più social o più socialità, più post o più passaparola?
VR: Sono stato molto attivo sui social. Io e Alessandro ci siamo divisi le pagine: lui twitta e io posto su Facebook. In realtà vorrei ridimensionare molto il potere di questi strumenti. I “like” però non sono tutto nella vita!
AB: In Rete abbiamo lanciato la “festival challenge”: una gara per eleggere il guest director l’anno prossimo. Una delle idee più ricorrenti è stata quella di avere la disponibilità di un festival on-demand. Rimane fondamentale, però, la corsa tra le sale, il sudore e scambiarsi le opinioni sui film in coda, la socialità vera e propria.
I due poli del festival sono: i film e la musica. Ambite a una convergenza dei due tipi di pubblico?
AB: Amo molto lo spazio musicale MFF, ma chi ha visto i film non si trova spesso a ballare al parco all’una di notte. L’idea è invitare quelli che vengono solo per il cinema a godersi le stelle al parco con noi.
VR: Non puoi forzare le persone a fare tutto… Chi è venuto al Parco Sempione per ballare ha la percezione che quello sia un festival di cinema e non soltanto una serata danzante, anche se ha visto un solo corto.
AB: Io proporrei di vedere due film e poi tutti a ballare!
VR: Io sono come una metà del pubblico e Alessandro come l’altra. Uno che vuole fare festa e l’altro che dopo un film non vorrebbe più nessuno attorno.
Il vostro festival in una frase.
VR: Una sola frase? Messico e nuvole.
AB: La faccia triste dell’America…(canticchiando, nda)
VR + AB: L’abbiamo cantata tutta l’estate preparando il festival.
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