In occasione dell’anteprima del nuovo documentario, Felice Pesoli ci racconta la realtà delle sottoculture giovanili nella Milano degli anni Sessanta/Settanta
Dopo esserne stato cofondatore nel 1990, Felice Pesoli torna a Invideo per presentare Prima che la vita cambi noi, racconto di una Milano sessantottina lontana dall'alone di violenza narrata dai giornali. Il regista scava sotto gli stereotipi, alla ricerca del non detto, e lo porta alla luce tramite il racconto corale di amici e compagni, non certo violenti.
Cosa l'ha spinta a realizzare un documentario su questo periodo?
È qualcosa che ho vissuto in prima persona, in secondo luogo avevo un intento ben preciso, riportare alla luce ciò che è stato banalizzato con l'etichetta “anni di piombo”. Definire il periodo in questo modo significa crearne un immaginario estremo, violento, cosa che non trovo corretta. C'era una parte del movimento giovanile, la più consistente, che aveva altre idee. Io ho voluto raccontare lo sforzo di chi cercava di cambiare la propria vita.
In quali luoghi si è soffermato di più nel raccontare questa sua Milano?
Mi sono concentrato soprattutto sul quartiere Brera che attualmente ha un'identità completamente diversa rispetto al passato. A cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta era la matrice di tutte le diversità, un luogo dove incontrarsi. Era il cuore pulsante della Milano underground.
Come ha selezionato gli eventi storici principali del film?
Ho iniziato a raccontare partendo dal '66 e mi sono fermato prima dei cambiamenti di metà anni '70. In particolare, come fulcro, ho scelto una data, il 16 giugno 1972. Quel giorno, poche migliaia di persone si scontravano con la polizia fuori dall'università Statale di Milano e, lo stesso giorno, a 50 km di distanza, a Zerbo, 20.000 persone si trovavano a un festival di musica pop. In seguito, gli eventi della Statale hanno monopolizzato le notizie mentre le ventimila persone sono state completamente ignorate.
Quali personalità hanno avuto un ruolo determinante in questo progetto?
Ci sono alcune persone che sono state indispensabili: Andrea Valcarenghi, leader del gruppo Provos milanese Onda Verde, Gianni De Martino, direttore degli ultimi due numeri di Mondo Beat, Dinni Cesoni, che è stata una delle prime comunarde milanesi e Claudio Rocchi, cantante psichedelico nostrano. Altre persone, al contrario, le ho scelte in quanto amici. Durante quegli anni hanno compiuto viaggi in India, Afghanistan, Pakistan e mi sono stati utili per raccontare questo percorso. Il mio intento non era creare un archivio di testimonianze, volevo piuttosto un racconto generale, a più voci.
Tra i personaggi è presente anche Matteo Guarnaccia (artista e storico del costume, nda).
Guarnaccia crea degli snodi narrativi e, mentre racconta, disegna. Per anni si è occupato storicamente di questo fenomeno e ho voluto attribuirgli una funzione diversa, è una sorta di narratore.
Che tipo di preparazione ha svolto?
La parte più difficile è stata trovare testimonianze visive, a quei tempi erano piuttosto rare. Fare video era impegnativo e nessuno voleva guardare dall'esterno le situazioni, tutti volevano esserci, viverle. Chi documentava era visto con sospetto.
Quanto è stata importante la musica nel suo racconto?
La musica non può essere secondaria, all'epoca era il collante, l'emozione comune. Ho cercato di privilegiare il cosiddetto rock progressive italiano utilizzando pezzi de Il banco del mutuo soccorso, Le orme, ci sono persino i Pooh degli esordi, ma anche i Pink Floyd. Ho concesso poi uno spazio a Dio è Morto di Guccini, prototipo della canzone beat italiana.
Perchè proprio il 2015 per questo progetto?
È casuale, una questione di budget, il progetto era in cantiere da almeno cinque anni. Adesso mia figlia ha vent'anni e vorrei sapesse come sono andate veramente le cose, cos'ha passato suo padre e che non è tutto vero quello che si racconta di solito, non erano solo “anni di piombo”. Il desiderio di riequilibrare questo stereotipo l'avevo da tempo, finalmente sono riuscito a realizzarlo.
Questa sera verrà proiettato un frammento in anteprima di Prima che la vita cambi noi, a seguire l'incontro con Felice Pesoli, Dinni Cesoni, Emanuele Giordana e Matteo Guarnaccia, ore 21.00, Spazio Oberdan
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