ASMARINA DEL MIO CUOR

ASMARINA DEL MIO CUOR
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Tra i film più attesi di oggi al FCAAAL: l’anteprima mondiale di Asmarina, documentario di Alan Maglio e Medhin Paolos realizzato all'interno della comunità habesha di Milano e non solo. Una narrazione corale che porta alla luce storie mai raccontate o dimenticate di chi vive in città da anni, fino ai profughi appena arrivati in Italia

 

Si sono conosciuti anni fa grazie alla fotografia, entrambi amanti degli archivi fotografici e della genealogia che, secondo loro, rende personale la Storia e ti avvicina a essa.

Alan Maglio e Medhin Paolos, i due registi di Asmarina – voci e volti di un’eredità postcoloniale portano sullo schermo piccole storie di persone, tanti tasselli che uniti creano un grande mosaico fatto da più punti di vista e di racconto. Sono storie plurigenerazionali, raccontate dai nonni, dai figli e dai nipoti in cui ognuno pone l'accento su aspetti che altri invece ignorano completamente.

Un insieme di suggestioni, a partire dalla canzone che dà il titolo al film, ricordo di uno dei protagonisti, Michele, durante l'incontro con i due registi.

Il film fa parte del progetto Asmarinaproject che prevede, inoltre, la pubblicazione di un libro, «una necessità, vista la mole di materiale che non abbiamo utilizzato perché era troppo!» dice Medhin Paolos. Ne abbiamo parlato insieme a loro alla vigilia della prima mondiale.

 

Quando è nato il progetto Asmarina?

Alan Maglio: Il progetto è nato un anno e mezzo fa, con l’idea di raccontare la comunità eritrea etiope a Milano e in Italia. Volevamo dare una visione allargata di una comunità presente nel nostro paese da diversi decenni, ma essendo noi a Milano abbiamo fatto un lavoro principalmente qui, anche se ci siamo spostati in altri punti chiave per la storia del gruppo di persone narrato. Siamo andati a Bologna dove, per 17 anni, si sono susseguiti una serie di incontri politici internazionali.

Per noi era importante documentarlo e seguire le tracce e le radici di questa comunità. È anche il nostro modo di far sapere che i fenomeni d'immigrazione che nell'ultimo periodo sono all'ordine del giorno trovano origine molto tempo fa, fin dagli anni Sessanta, con modalità diverse,  ma sempre per le stesse ragioni.

 

Qual è stato il punto di partenza che vi è servito per sviluppare il progetto?

AL: Per caso abbiamo trovato un libro (Stranieri a Milano) del 1983 di Vito Scifo e Lalla Golderer. I due fotografi avevano realizzato un'indagine fotografica e antropologica a cavallo tra il reportage e la street photography. Noi ci siamo riconosciuti nel loro stile e nel loro approccio alla realtà. Anche loro erano un uomo e una donna, e ci sembrava da un lato stimolante rinnovare questa esperienza dopo 30 anni e dall'altro curioso ritrovare tra quelle pagine persone che conosciamo. Non fotografie esotiche, di luoghi e persone lontane, ma cugini, zii, sorelle, genitori. Così è cominciata la nostra avventura.

Lavorare insieme ci ha permesso di unire nel progetto degli interessi che ci portiamo dietro da molto tempo come il tema della memoria e la fotografia come strumento che propaga i ricordi e permette di mantenerli vivi.

Medhin Paolos: Alcuni conoscevano già questo libro, lo hanno nella libreria di casa, magari dimenticato e impolverato, altri non lo conoscevano per nulla. La stessa persona ritratta in copertina non sapeva di essere finito su quel libro.

 

La fotografia come memoria e documentazione di un'epoca è la protagonista del film.

MP: Sono passati 30 anni, ma da queste foto si possono riconoscere i luoghi della città e il tempo che passa: il Leoncavallo, il primo, quello che si trovava nella via da cui prende il nome, i bar di Porta Venezia. Tutti posti frequentati in particolare dalla comunità eritrea-etiope, ma che in fondo sono i luoghi di tutti. Il film mostra le dinamiche all'interno della società habesha che sono le stesse in giro per il mondo, ma con un'attenzione particolare per quelle che si sviluppano qui e che sono specifiche di questa città. Abbiamo fatto vedere qualche sequenza nelle università e chi appartiene a quella cultura si riconosce in aspetti che sono universali, ma ovviamente non possono riconoscere i luoghi, le vie, tra cui quelle attorno a Porta Venezia, una zona che accoglie tanti strati e pezzettini di società.

AM: Per me la fotografia è importante per raccontare la realtà. Solo ultimamente ho iniziato a lavorare in studio, ho sempre lavorato all'esterno, cercando nel mondo gli elementi che mi interessava raccontare. Un lavoro in bilico tra la fotografia documentaria e sociale, il reportage e il ritratto. Se il film aggiunge la possibilità di registrare delle testimonianze e di fare delle interviste, la fotografia è frammentaria quindi resta sempre per certi versi oscura e misteriosa, una specie di archeologia a pezzi.

 

Il film è anche il frutto di un lungo e scrupoloso lavoro di ricerca.

MP: Entrambi siamo amanti degli archivi fotografici, il primo che abbiamo visitato insieme è stato quello del Castello Sfrozesco, quando Alan stava facendo uno stage. Lì abbiamo scoperto che avevano un’enorme quantità di materiale sul colonialismo italiano tenuto molto male. C’erano anche degli oggetti particolari, come il Gioco dell'oca in versione coloniale, votato verso la propaganda.

 

Sul sito del vostro progetto si legge di una collaborazione con Docucity – documentare la città. Come è nata?

AM: Quando all'inizio del progetto ho cercato delle partnership e un sostegno da parte di organizzazioni che lavorano sul cinema a Milano e che organizzano festival ho pensato subito al COE, al FCAAAL e a Docucity, il festival del documentario curato dall'Università degli Studi di Milano. Volevo mettere in comune le forze, raccogliere le tracce e informazioni grazie all'aiuto di persone che erano in grado di “aprirmi la strada”.
 Finanziariamente non ci ha sostenuto nessuno, ma non lo dico per lamentarmi, i tempi sono difficoltosi e la presenza dei Festival è già un importante punto di partenza. Lo dico perché Asmarina è un film completamente indipendente e autofinanziato. Insieme siamo riusciti a mettere insieme quei “pochi” soldi che ci servivano per la produzione. Siamo contenti di averlo realizzato slegati da tutto e tutti, senza che nessuno ci dicesse che taglio dare o cosa evitare di mettere. La mancanza di finanziamenti ha i suoi contro, ma anche i suoi pro, in quando ti permette di esprimere liberamente la tua scelta creativa.

Docucity ci ha già garantito la proiezione in alcune università italiane. Per noi è importante avere come audience gli studenti, anche perché spesso si tratta di ragazzi che non frequentano i festival oppure non hanno occasione di vedere il film perché viene mostrato solo un paio di volte in poche sale.

NP: Ci piacerebbe molto avere l'occasione di portare Asmarina anche nelle Scuole superiori. Non è un film storico, non forniamo date per cui è necessario conoscere la Storia e gli eventi. Parla però di argomenti che nei piani di studi delle nostre scuole non vengono mai affrontati. La Storia non si racconta solo attraverso i libri.

 

Asmarina di Alan Maglio e Medhin Paolos, Concorso Extr'A, ore 21.00, Cinema Beltrade. Anteprima mondiale

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