FESTIVAL & THE CITY

FESTIVAL & THE CITY
di

 

 

Mi capita, quando giro, di pensare. «Piacerà a Filmmaker?». 

 

Ho conosciuto Filmmaker da spettatore quando ancora il festival non aveva una vocazione così precisa per il reale. Poi, da autore. Nel ’97, insieme a Studio Azzurro, che produsse una mia installazione (La casa delle belle addormentate, ispirata al romanzo di Yasunari Kawabata; vinse il bando per la sezione “Le mani sulla città”, ndr). Lì è nato un sodalizio che si è riproposto negli anni: mi hanno chiamato a fare il tutor, il giurato, fino alla presentazione di Alberi, nella passata edizione. In quel caso Luca Mosso mi propose, come luogo, un cinema, il Manzoni. Apparentemente non il più opportuno, essendo Alberi una riflessione sul cinema, ma visto da lontano, da fuori. Per permettere allora all’installazione di prendere vita abbiamo dovuto fare un lavoro di reinvenzione. Che ha caratterizzato non solo il linguaggio, ma anche l’architettura del luogo. E’ stato molto divertente.

 

Ecco, quando ieri mattina presentavo Filmmaker ai miei studenti, ho raccontato loro di questa doppia responsabilità che il festival si assume. Impressione ed espressione.

Da un lato consente ai cittadini di scegliere le immagini di cui nutrirsi. Dall’altro permette ai filmmaker di esprimersi, di far uscire le proprie immagini.

 

Le immagini sono importanti, hanno la capacità di condurci, cambiarci, formarci. Sono state le immagini che abbiamo visto negli ultimi vent’anni ad aver prodotto la mutazione antropologica del Paese. Filmmaker da sempre si assume un compito che dovrebbe essere condiviso da tutta la città: dare diritto di scelta ai cittadini. Sono i cittadini, non il pubblico, il destinatario del festival, persone attive, non solo disposte ad accogliere, passivamente, ciò che viene loro proposto.

Jean-Marie Straub affermava: «Io giro per i cittadini, non per il pubblico» e Filmmaker porta a compimento, da festival, quel mandato. Rivolgendosi a Milano, anche se si tratta di una realtà importante in ambito nazionale e internazionale. E mi sembra che questo compito, così importante, lo assolva in totale solitudine nella nostra città.

 

Ma l’impressione delle immagini ci conduce solo a metà del cammino. C’è infatti il ruolo cruciale che il festival si assume nei confronti dell’espressione e dei futuri autori. Filmmaker ha inventato questa modalità di accompagnamento, di sostegno, magari con fondi piccoli ma che diventano grandi quando viene attivata la rete di talenti e passioni che gravita intorno al festival. È il sistema milanese, lontano dall’industria romana: non conosco autori in Italia che non vi siano transitati a un certo punto del loro percorso. Io stesso, non credo che avrei potuto far niente se non avessi incontrato Filmmaker.

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