Chiara Cremaschi in Indesiderabili ricostruisce la quasi sconosciuta vicenda del primo campo di internamento femminile durante la seconda guerra mondiale. Attraverso l’esperienza personale delle donne scrive una pagina di storia dimenticata
Dopo le Parole per dirlo, dedicato ai momenti femministi, la regista bergamasca migrata a Parigi sceglie ancora una volta una prospettiva femminile. Nell’inverno tra il 1939 e il 1940, un gruppo di donne sono state messe in isolamento nel campo di Rieucros, nel sud della Francia, perché ritenute pericolose. Nella sofferenza delle privazioni e dell’isolamento, hanno trovato un formula particolare per superare le difficoltà e non smettere di vivere. La vicenda è ricostruita con interviste alle protagoniste e immagini di archivio dell’istituto Luce, accompagnate dalla voce della scrittrice Teresa Noce.
Come è nato il film e quando hai scoperto il libro di Teresa Noce?
Ho iniziato con una ricerca e uno studio su Baldina Di Vittorio, ho scoperto la sua vicenda e sono arrivata alla storia del campo. Approfondendo la documentazione ho trovato il libro di Teresa Noce, Rivoluzionaria professionale. L’argomento è proprio quello del campo su cui io mi volevo concentrare. Le parole di Teresa Noce sono diventate la voce narrante che ha creato un filo rosso: è l’elemento che unisce i frammenti del racconto corale.
Cosa hai imparato da questa ricerca e da questi incontri?
L’incontro con Baldina è stato fondamentale perché è avvenuto in un momento in cui non volevo più fare la regista, grazie a lei mi sono resa conto quanto sia fondamentale raccontare ancora certe storie, e ho trovato il motivo per ricominciare.
Dal punto di vista umano, ho imparato che anche la situazione più difficile può rivelarsi la condizione per dare il meglio di sè. Questo gruppo di donne si sono date il tempo per migliorarsi, studiare, occuparsi di attività che prima non avevano provato. Avrebbero potuto diventare rivali fra loro o una brutta copia di se stesse, invece sono migliorate: hanno creato un sistema di coesione e di solidarietà, al di là delle ideologie. Rimangono vive studiando, cucendo, cantando, condividendo.
Cosa hai appreso invece in merito alla storia “ufficiale”?
Le ricerche dei materiali hanno confermato quello che sospettavo: chi racconta la Storia fa delle scelte e spesso ne lascia in ombra pezzi non ritenuti importanti. Questa reclusione non è stata considerata rilevante perchè non era un vero sterminio: siccome non ci sono stati morti, l’evento è stato liquidato.
Con la storia delle donne il problema è ancora più accentuato. Infatti la ricerca dei materiali è durata più di due anni ed è stata difficoltosa perché è un tema che in Francia tendono a nascondere. Del resto la nazione dovrebbe rappresentare libertà e uguaglianza. Ammettere un evento del genere mette in imbarazzo.
Perchè hai scelto di inserire dei disegni animati?
Dopo la prima fase di montaggio, mi sono resa conto che volevo raccontare con un mezzo diverso sia dalle interviste, che dalle immagini in bianco e nero. Pensavo che il film avesse bisogno di un tocco creativo perchè non diventasse troppo didascalico. Due ricercatrici tedesche mi avevano parlato di questi disegni e li ho trovati ideali per il racconto, danno il giusto tocco naif.
La ripetuta scelta di una prospettiva femminile è istintiva o ragionata?
È stata istintiva nella misura in cui sono una donna e la prima volta che mi sono dedicata ad una storia femminile l’ho fatto senza grandi ragionamenti. Del resto sono cresciuta in un collettivo femminile perciò il rapporto con mia mamma, al di là della relazione personale, è stato un modo per avvicinarsi al femminismo e a questo genere di storie. Adesso è un po’ più ragionata: parto spesso dalla biografia della mia famiglia per raccontare frammenti di Storia.
Indesiderabili, ven. 31 ottobre, ore 21.07, Spazio Oberdan
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