LA TRIBÙ DEI VIOLENTI

LA TRIBÙ DEI VIOLENTI
di

L’ucraino Miroslav Slaboshpitsky vince al MFF con The Tribe, un film vivido, scioccante e brutale, che incolla lo spettatore per 132’ nonostante sia interamente girato nella lingua dei segni. Ambientato in un collegio di non udenti adolescenti dove la violenza è pane quotidiano e l’aggressività si espande in una spirale senza fine e senza redenzione.

 

Hai optato per una scelta forte escludendo totalmente l’uso dei sottotitoli, come mai?

L’idea iniziale era di fare quasi un film muto che le persone potessero capire nelle stesse condizioni, dall’Africa all’Alaska e in tutto il mondo, come succedeva prima dell’introduzione del sonoro nel film. È stato interessante che qualcuno l’abbia considerato arte contemporanea. Io ho solo avuto quest’idea con cui volevo raccontare la storia e sono felice che alla fine sia stata apprezzata.

 

Non sentiamo mai le voci dei protagonisti, c’è solo un momento in cui si sentono chiaramente i lamenti di una di loro: Anya nella scena dell’aborto.

I non udenti comunicano in modo diverso: alcuni emettono sillabe, altri non parlano per niente, così come in alcuni casi possono urlare. Ho dato come indicazione di non emettere alcun suono per mantenerci coerenti all’idea che avevamo. Mi ricordo quando l’ho chiesto a una delle due attrici e lei mi ha risposto “Non posso controllarlo, non sento”. Sono molto orgoglioso della riuscita della scena dell’aborto perché è tecnicamente impeccabile, ma la sua realizzazione non è stata né difficile né pericolosa come invece un’altra scena, in cui, nonostante la presenza dello stuntman, eravamo seriamente preoccupati che l’attore si facesse male. Girarla è stato orribile. L’aborto invece è solo un’illusione, ma capisco che, come significato sia spaventoso. Non ho “alzato il volume” in quella scena, lei ha alzato la voce semplicemente perché era in una posizione molto scomoda e si sentiva a disagio, ciò ha reso realistica la sofferenza di un aborto senz’anestesia.

 

Gli attori sono tutti non udenti? È stato difficile dirigerli?

Tutti i non udenti del film lo sono anche nella vita. Lavorare con loro sul set ha presentato le stesse difficoltà che avrei incontrato con degli adolescenti, il rischio è lo stesso. Non c’è nessuna assicurazione: attori adolescenti non professionisti avrebbero potuto mandare all’aria il film in qualunque momento. Fortunatamente non è successo e siamo diventati un gruppo, una tribù.

 

L’obiettivo del film era riportare una situazione reale di violenza di cui sei a conoscenza? Come mai hai scelto un epilogo così duro?

Ho combinato diversi elementi quando ho scritto la storia, un po’ esperienza personale a scuola, un po’ storie che avevo sentito e resoconti sull’illegalità e il bullismo nelle scuole. Il protagonista è un vero ribelle che finisce sempre in situazioni estremamente violente. Non avrei mai potuto immaginare un altro finale. Nonostante il film sembri senza speranza, il protagonista riesce a vendicarsi. È quella la vera speranza, la vendetta.

 

Articoli recenti

Daily