La cantina è un luogo del tempo libero e della sfera privata, ma per molti è anche un santuario e un nascondiglio. Ulrich Seidl torna al film documentario e con Im Keller esplora desideri e segreti dell'animo umano
Ciò che è socialmente accettabile è spesso messo ben in vista al contrario di tutto quello che devia dalla norma. Il privato e l'inconscio restano inconfessati, chiusi sotto chiave in una parte recondita del nostro essere. I corpi e le case diventano così meri luoghi di rappresentanza, pronti a soddisfare le aspettative altrui. Ma ci sono pulsioni ed esigenze che non possiamo sopprimere perché fanno parte di noi. Im Keller (In the Basement) è un viaggio nei tanti rifugi in cui trova spazio questa dimensione dell'animo. La cantina è il regno oltre lo specchio. Il posto in cui ognuno può abbandonarsi alle proprie passioni e ossessioni, in cui liberare le paure o esorcizzare alcune esperienze vissute. Antri nel sottosuolo diversi da quelli a cui siamo abituati, pieni di muffa e disordine.
Seidl ha realizzato il film in Austria e l'idea risale al 2001, quando ha attraversato il Paese in cerca delle location di Canicola. La curiosità è nata quando si è reso conto che spesso i sotterranei erano curati con più generosità rispetto al resto della casa. Venivano puliti e ordinati come se fossero veri e propri luoghi di culto e allo stesso tempo non contenevano nulla di superfluo o accessorio. Solo il necessario per celebrare quel rito misterioso per cui erano stati pensati. Un serpente divora la sua preda, chiuso in una teca di vetro appena sufficiente a contenerlo. Con questa immagine si apre la porta dell'inconscio evocato da Seidl e nell'ombra c'è una creatura prigioniera che attende l'evasione. C'è chi usa la propria cantina per cantare opere liriche o per esercitarsi a sparare al bersaglio, chi vi conserva reliquie dell'epoca nazista o chi si rifugia tra vecchie scatole e cianfrusaglie per parlare alle proprie bambole...
Nella seconda metà del film il regista mette in scena perversioni e fantasie sessuali. Conosciamo così una giovane prostituta dai capelli vermigli che stretta in una tutina di lattice afferma: «Prima lavoravo nelle vendite. Però, non so, ora non mi piace più. Bisogna essere sempre gentili con tutti anche quando ti trattano male». Una mistress e il suo schiavo, un'assistente sociale masochista e i suoi giochi pericolosi. Tanto eppure non troppo. Perché i veri protagonisti sono le contraddizioni e i lati grotteschi della natura umana. Raccontate anche sul piano formale attraverso la fotografia. Simmetrica e dominata da una luce sterile e artificiale nonostante l'eccentricità dei soggetti ritratti. Come a riprodurre in piccolo la differenza tra apparenza e sostanza.
Di fronte a tante stranezze viene spontaneo chiedersi se tutto sia autentico o animato da un tocco di finzione. Ha detto Seidl: «Con il mio sguardo cerco di arrivare vicino ai miei protagonisti e raccogliere frammenti filmici dalla verità. Nulla di tutto questo è completo o definitivo. La donna con i bambolotti è un ottimo esempio per capire come attraverso questo approccio alla realtà, la narrazione cinematografica a volte si inventa. È un modo per cercare di mostrare quello che vedo, quello che mi tocca e che voglio far vedere agli spettatori». E poi conclude: «Im Keller è uno di quei film che si potrebbero girare a oltranza e sul quale si potrebbe continuare a lavorare senza mai esaurire l’argomento».
Im Keller di Ulrich Seidl, Concorso, dom 30 novembre, ore 19.30 Cinema Arcobaleno Sala 300
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