La chiamano la "zarina di Parigi", Anna Scherbinina, attrice e modella russa fra le più gettonate, è passata davanti alla macchina da presa come protagonista di Nine Days and One Morning di Vera Storozheva presentato in concorso a Sguardi Altrove. E ora sta lavorando insieme a Martin Scorsese e Mick Jagger
Dopo una breve carriera da modella, Anna Sherbinina ha lavorato per registi come François Ozon, è stata premiata al festival I’ve seen films organizzato da Rutger Hauer nel 2010, e si appresta a girare una serie realizzata per la HBO da Martin Scorsese. In Nine days and one morning, il film di Vera Storojeva a cui tiene come a un figlio, interpreta il ruolo di una modella russa adottata da genitori francesi, che torna nel paese d’origine. Non è però di lei che si parla, e lo puntualizza subito, ma di tutti coloro che non hanno un Paese in cui riconoscersi, un’identità salda a cui fare riferimento. Di questo, del suo lavoro come attrice e del ruolo della donna nel cinema parliamo con Anna nel nostro incontro a Milano.
Quanto di te c’è nel film?
È una storia interessante. Ero a Mosca con dei miei amici e ho incontrato Vera, fra le più talentuose registe in Russia, tutti vorrebbero lavorare insieme a lei. Abbiamo preso un caffè e poi mi ha detto che voleva fare un film con me senza avere ancora nulla di preciso in mente. Più avanti ho partecipato ad alcuni incontri con la sceneggiatrice, e nonostante ci siano alcuni punti di contatto con la mia vita, ad esempio la carriera da modella, è sicuramente la storia di qualcun altro. Io non sono la Anna del film: per questo i miei parenti non mi hanno riconosciuta guardando Nine Days and One Morning. È uno dei migliori complimenti che potessi ricevere, perché conferma il mio lavoro d’interpretazione. Anche se il film era stato “scritto per me”, la regista ha chiesto lo stesso di fare il casting per il ruolo di Anna; la cosa mi ha sorpreso, ma sono riuscita ad ottenere la “mia” parte.
Come hai contribuito alla scrittura del film?
Ho aiutato Anna, la sceneggiatrice, a capire la mentalità dei francesi, che lei conosceva poco, e la relazione che lega la Russia al continente europeo. In mezzo al benessere dell’Europa spesso ci si sente soli, perduti. Amo l'Europa ma come accade nel film a volte mi sento davvero sola, è un sentimento che condividono anche i miei amici russi in Francia. I francesi sono piuttosto freddi, non puoi mostrare ciò che senti. Ai concerti bisogna rimanere seduti, al massimo applaudire alla fine. In Russia la gente balla al ristorante, c'è una maggiore libertà, un calore umano che riscalda e unisce le persone. Quando siamo arrivate a Rostov-le-Grand, il povero villaggio dove abbiamo girato il film, la comunità si è aperta e ci ha accolto così calorosamente! Probabilmente è lo stesso qui in Italia, ma posso garantirti che in Francia è ben diverso.
Come hai lavorato sull’interpretazione del tuo ruolo?
Ho cercato di immergermi nel personaggio il più a fondo possibile. Anche se è pericoloso entrare ed uscire da personaggi diversi, ha un qualcosa di schizofrenico.
Non serve un po’ di prudenza?
No, se fosse così non sarei un’artista. Non è tanto un lavoro tecnico, quanto una passione. Non si può avere paura: se il regista mi chiedesse di buttarmi nell’acqua gelida lo farei. Per girare la scena dei cani ad esempio, ho urlato davvero nelle riprese: nonostante fossero belli nella foto, erano piuttosto aggressivi e pericolosi. Non si può dire di no al regista, soprattutto in un film d’arte. Abbiamo lavorato senza sosta per alcuni mesi, mi sono allenata moltissimo. Mi sono accorta che serve un enorme investimento fisico, non solo mentale, quando si interpreta il ruolo di qualcun altro.
Tornare in se stessi è difficile?
È stata dura, ma questo è il lavoro dell’attore. Per fortuna mio padre è venuto a trovarmi sul set durante le riprese, e vederlo mi ha aiutato a riconnettermi con la mia identità reale.
Com’è stato lavorare con Vera?
È una donna tosta: sa esattamente cosa vuole e quello che ha in mente. E giustamente lo chiede agli altri, è esigente. Mi ha spinto a superare i miei limiti, a volte urlando, a volte in modo crudele (poi si scusava), ma era giusto che fosse così. Ho dovuto mettercela tutta per confrontarmi non solo con lei ma con tutti i partecipanti al film. Per esempio l’attore Sergey Puskepalis è stato premiato a Berlino (Orso d'Argento per How I Ended this Summer nel 2010) , erano tutti attori di ottimo livello.
Hai imparato molto da loro?
Li ringrazio di cuore per tutto quello che ho appreso. Dopo questo film ho partecipato a un’audizione per il nuovo progetto firmato da Martin Scorsese per la HBO, coprodotto da Mick Jagger, Rock’n roll Project, e se non avessi fatto Nine Days and One Morning, non so come avrei affrontato e superato il provino. È la migliore cosa che mi sia capitata.
Come ti senti, russa o francese?
I primi a ridere di me sono i miei genitori, che mi chiamano “la francese” per come ho assimilato la loro cultura, anche nell’accento, quando parlo russo. Dicono anche che sono troppo educata… Hanno iniziato ad avere una percezione di me come straniera, ed è stato terribile. Allo stesso modo, per i francesi rappresento l’anima russa, non sono del tutto accettata. Ciò mi rende sia francese che russa, ma spesso ci si sente nel mezzo del nulla, non so quale sia la mia casa. Questo capita quando si viaggia per parecchio tempo, può essere veramente dura mantenere la propria identità. Perciò per tutte le persone lontane da casa è stato più facile cogliere il senso del film, l’hanno sentito molto, e ogni volta ci hanno ringraziato, perché anche loro non sanno chi sono.
Il film mostra il sogno dell’Europa.
È cosi forte nella mente dei russi, ed è semplice capire il perché. Caduto il comunismo, il sistema è crollato facendoci piombare in una situazione paradossale. Avevamo i soldi ma non c’era niente da comprare, i negozi erano vuoti. Bisognava lottare per fare la fila, spingere e tirare per un petto di pollo. E una volta crollata l’Unione Sovietica ci siamo accorti dell’Europa. Si vedeva abbondanza dappertutto, i negozi pieni di cibo e di vestiti: questa immagine è rimasta nella mente dei russi, per loro andare in Europa era come un viaggio sulla Luna. Si dice infatti “vedi Parigi e muori”.
Nel film, perché tutti si aspettano qualcosa da Anna?
Lei viene dal posto più ricco del mondo: se arrivi da Parigi sei Babbo Natale, hai l’oro nelle mani. C’è questa idea in Russia che se vivi all’estero sei ricca. E Anna si sente piccola quando si accorge di non poter fare nulla per loro.
Il film parla anche di adozione. Che relazione hai con l’idea della maternità?
Come nel film desidero molto avere dei bambini, anche se ora non sono sposata. Il mio piano adesso è quello di accettare un film dove il mio personaggio abbia dei figli, e subito farne uno: si dice che si avvera quello che si interpreta. Non sono riuscita a continuare la dinastia dei Delon, sono stata a lungo con Anthony, figlio di Alain, ma purtroppo la nostra storia è finita. Credeva che non potessi avere una famiglia continuando con il mio lavoro, voleva essere l’unico attore della famiglia, senza lasciarmi seguire la mia passione.
È il destino di molte donne, anche nel cinema.
Parlando di cinema sicuramente ci sono meno registe donne che uomini, per questo sono contenta di partecipare a questo festival, per supportarci a vicenda. Non c’è nessuna ragione per cui solo gli uomini debbano girare film. Questo film ad esempio non sarebbe stato concepito in questa maniera da un uomo. Siamo molto diversi, differenti i punti di vista. Se si elimina il lavoro delle donne, è come se una metà della visione del mondo venisse oscurata. Ho trovato totalmente differente l’essere diretta da un uomo piuttosto che da una regista. Una donna ti comprende maggiormente, ma al tempo stesso è più impegnativo perché da uno sguardo femminile non ci si può nascondere. Poi ci sono le eccezioni, con Scorsese ho avuto l’impressione di essere capita e compresa come mai nella mia vita in pochi istanti.
Anche se non mi piace solitamente distinguere fra generi, nell’ambito cinematografico rimangono alcune tracce di misoginia. E in quest’ottica sono contenta che ci sia un festival che difenda e valorizzi registe femmine.