Non si smette mai di guardare oltre. La ventiduesima edizione di Sguardi Altrove mantiene intatte le sue prerogative, offrendo un cinema a regia prevalentemente femminile e incentrato su tematiche dell’attualità. Chiediamo alla direttrice Patrizia Rappazzo di raccontarci di più sulla rassegna
Una panoramica di 100 film che attraversa la geografia dei cinque continenti per raccontarci la donna di oggi, con un occhio di riguardo per i diritti umani, i conflitti generazionali, le migrazioni e le diaspore territoriali. Il programma sicuramente molto ricco, abbraccia numerose tematiche e si snoda in tre sezioni competitive a regia esclusivamente femminile - che non esclude però in altri percorsi quella maschile - lavorando su diversi formati, dal lungometraggio al corto al documentario. Una proposta di ampio respiro che non intacca la natura del festival, che in particolare quest’anno indaga le problematiche legate alle identità socioculturali. Patrizia Rappazzo, direttrice di Sguardi Altrove Film Festival, ci conduce nelle vie all’interno della manifestazione.
A proposito di identità plurime, come ha risposto il festival al cambiamento delle istanze sociali legate al mondo femminile nel corso degli anni? Originariamente era molto legato ai movimenti femministi.
Il nostro festival cerca un discorso più ampio. Il problema centrale dal quale siamo sempre partiti è lo scarso numero delle donne nell’industria cinematografica italiana e internazionale. Ogni anno Sguardi Altrove è una finestra sul cinema internazionale al femminile, con la missione di scoprire nuovi talenti e dare visibilità a quelli già presenti sulla scena. I dati in Europa, ma soprattutto in Italia (solo il 7% delle regie sono di donne, ndr) sono eloquenti al riguardo.
È dunque possibile che un giorno non sarà più necessario dover valorizzare o dare visibilità alla regia al femminile?
Non è un discorso di necessità, come se dovessimo fare la lotta a tutti i costi nello stesso modo che in passato. Ora serve far vedere quello che le donne sanno fare, mostrare la qualità dei loro lavori. In questo momento, i dati parlano chiaro e il festival sottolinea la necessità, la volontà e il piacere di dare spazio al lavoro fatto da donne.
In questo sta una valenza politica, in una rassegna che tratta tematiche significative come le identità socioculturali o la violenza sulle donne, che oggigiorno sono più urgenti del femminismo vecchio stampo.
Mi interessa dare un’idea di donna transculturale e internazionale.
Non c’è il rischio di ghettizzare il lavoro al femminile?
La regia femminile è esclusiva solamente nelle tre sezioni competitive. Le altre sono aperte alla regia maschile, perché il dialogo è ovviamente fondamentale. Non ci interessa metterci da parte, isolarci. Non ha praticamente nulla da spartire con il femminismo storico, né può questo essere visto come un discorso fuori dal tempo. Si tratta più di raccontare tutti i possibili modi di essere donna nelle possibili declinazioni.
Ma si può parlare di cinematografie di genere?
Non credo si possa parlare di uno specifico al femminile: è più opportuno parlare di persone, delle modalità con cui un regista racconta una storia, indipendentemente dal suo genere. La nostra ricerca non si concentra quindi sullo specifico cinematografico.
Un titolo che ti ha colpito particolarmente?
Ci sono molte anteprime importanti, anche mondiali. Potrei dirti Ben Zaken, che è passato da Berlino e che ora è in anteprima nazionale ed è bellissimo, ma anche Self Made . Al di là del singolo film comunque, è il filo rosso che attraversa tutto il festival ciò che conta, il tema delle diverse identità, delle contaminazioni e delle diaspore, lette da donne e uomini del nostro tempo.
E di attualità trattano i diversi Focus: come avete scelto di approfondire questi temi?
I focus sull’Australia e Israele nascono da una forte riflessione sul contemporaneo. Da sempre Sguardi Altrove ha avuto come caratteristica, oltre alle riflessioni sui temi legati alla donna, anche un forte taglio sociale. Si cerca di offrire una panoramica ( anche attraverso registri altri, come musica, danza e teatro) sull’oggi, in buona parte scritto e diretto da registe donne, ma in parte anche raccontato da uomini. Indagando nell’oggi il problema dell’identità e delle reazioni a quelli che sono i fenomeni migratori, le contaminazioni etniche, il métissage culturale.
L’idea è stata quindi quella di collegare le già note migrazioni del Mediorente, che ci portano dalla Libia alla Siria, ad un mondo “altro”, quello dei giovani europei, che si spostano alla ricerca di un sogno, una speranza che riprende quella di generazioni precedenti verso la Germania, la Svizzera, gli Stati Uniti e la stessa Australia. Giovani sfiduciati dalla situazione governativa europea. Oggi sta accadendo questo, e per noi, come festival, parlare di questi temi significa impegno sociale.
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