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UNA STORIA PER NIENTE SEMPLICE
di Claudio Gaetani*

Più passa il tempo, e più il racconto della Shoah si fa difficile, anche se si allarga sempre più. Infatti, alla grande narrazione drammatica, alla storia romanzata che punta a trovare un suo spazio nell'immaginario collettivo (ambizione implicita di qualsiasi opera cinematografica), si vanno sempre di più affiancando racconti minimi, piccole storie strappate alla Storia al fine di dare a chi ha preso parte, sotto qualsiasi veste, a quest'ultima, un volto e un nome, anziché permanere nel mare magnum dei numeri. Lo sterminio nazista viene spesso superficialmente identificato come la tragedia dei milioni di morti, evidenziando un lato vero ma al contempo fortemente drammatico che relega la Storia in un passato lontano, tenuto distante attraverso quella che appare come un'ingenua e infantile formula magica: “affinché non si ripeta mai più”. Da qualche anno, in vari Paesi, diversi cineasti hanno tentato di invertire la rotta, sia attraverso la forma del documentario che quella della finzione, cioè di far sì che ognuno dei milioni di morti avesse di nuovo un proprio nome, che la vita del singolo potesse essere ricostruita e raccontata e che, in breve, la Storia si rifacesse storia al fine di diventare più vicina, a orecchie e occhi disposti a confrontarvisi (ne è un esempio Dal ritorno di Giovanni Cioni, presentato oggi a Filmmaker). 

Raccontare storie della Shoah è qualcosa che oggi appare di grande complessità: tante storie sono state ricostruite, poche volte si è costruito uno stile proprio. Piuttosto chi si cimenta nell’impresa – e mi soffermo qui sul solo testo documentario – tende a barcamenarsi tra due estremi oramai ben noti: o il racconto radicalmente antiretorico alla Claude Lanzmann o quello fortemente emotivo, fatto di elementi drammatici ricorrenti e ben riconoscibili, che ha trovato nella scuola statunitense forte diffusione. Da diversi anni è il cinema documentario israeliano, che ha intrapreso un lavoro certosino di ricostruzione di storie attraverso il cinema, il luogo nel quale emerge un'originalità senza eguali, e tale originalità riguarda sia la naturale personalità di chi viene raccontato che quella di chi racconta, non perdendo mai di vista che l'obiettivo rimane sempre quello di fare del cinema di verità.

* Insegna Linguaggio Cinematografico presso il Dipartimento di Scienze della Comunicazione dell'Università di Macerata. È autore di vari saggi, tra i quali Il cinema e la Shoah (2006) e Germania/Israele - Immagini di una memoria divisa in due (2012), entrambi usciti per i tipi di Le Mani. Ha diretto film documentari, videoclip, cortometraggi, e da poco ha terminato la lavorazione di Homeward Bound - Sulla strada di casa, con la coregìa di Giorgio Cingolani, un film che nella forma della finzione racconta una realtà peculiare della propria regione, Le Marche. Con lo pseudonimo Never29 è anche attivo nell'ambito della fotografia (www.never29.com).