IL SENSO DI UN FESTIVAL

IL SENSO DI UN FESTIVAL
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In occasione della premiazione del ventiseiesimo FCAAAL abbiamo intervistato Alessandra Speciale, co-direttrice insieme ad Annamaria Gallone, per fare il punto su come è cambiata la manifestazione e sul valore di una cinematografia altrimenti poco raggiungibile dal pubblico italiano

 

Sono ormai 26 anni che Il Festival cinema Africano Asia e America Latina porta a Milano il cinema d'autore proveniente da questi tre continenti.

Alessandra Speciale, co-direttrice del festival insieme a Annamaria Gallone e presidentessa del Milano Film Network, tira le somme di questa lunga esperienza.

I cambiamenti, in positivo e in negativo, gli obiettivi della manifestazione e il rapporto con il pubblico.

 

 

In che modo è cambiato il Festival dal 1991?

 

In 26 anni ci sono stati tanti cambiamenti, ma quello fondamentale è avvenuto nel 2004, quando dal cinema africano ci siamo aperti anche ai continenti dell'Asia e dell'America Latina. Avevamo voglia di spaziare e volevamo mettere diverse cinematografie in comunicazione tra di loro, con l'idea che potessero nascere delle collaborazioni tra autori e produttori. Inoltre i nostri registi cominciavano a sentire un po' stretta una programmazione unicamente africana, ma un'apertura all'ennesimo festival internazionale non avrebbe avuto senso.

Quella del nostro festival è una formula valida perché si tratta di continenti ancora poco presenti nelle sale italiane, a eccezione di qualche piccola apertura nei confronti del cinema asiatico. Anche su internet i film di questi paesi non sono di facile reperibilità.

Per noi presentare questi lavori ha anche sempre significato fare informazione, dando spazio al punto di vista dei registi. La differenza rispetto a quando abbiamo cominciato è grande, dato che all'epoca i film erano le uniche immagini provenienti dall'Africa che non fossero mediate dal punto di vista occidentale. Con l'avvento di internet tutto è cambiato: ci sono blog, siti di informazione, ma la prospettiva artistica di un regista è cosa diversa. Noi restiamo uno dei pochi appuntamenti sul cinema d'autore proveniente da questi luoghi.

 

Com'è la situazione dal punto di vista del budget?

 

Tre anni fa abbiamo perso il nostro main sponsor, l'Eni, che ci aveva accompagnati sin dal principio. Dicono di aver cambiato le loro politiche nella comunicazione: adesso vogliono investire direttamente nei paesi dove operano. E contemporaneamente c'è una crisi economica generale, ma anche del cinema: tutti i Festival ne soffrono perché le sponsorship di un tempo fornite dalle aziende sono ormai quasi inesistenti.

Noi abbiamo cercato di ridurre la quantità per tenere alta la qualità: tagliare il numero di film, delle sale e anche degli ospiti - un tempo invitavamo tutti i registi - ma continuare a fare molta ricerca e ad avere le opere a cui teniamo di più. Non abbiamo invece modificato particolarmente il costo del biglietto: è comunque una minima entrata per un festival e ormai, soprattutto il pubblico giovane, è abituato ad avere un accesso gratuito al cinema.

 

Come si è evoluto il pubblico nel corso di questi anni?

 

I numeri del pubblico sono più o meno costanti. Abbiamo lavorato molto per riuscire a coinvolgere tutte le comunità di Africa, Asia e America Latina residenti sul territorio. I risultati si vedono: abbiamo un buon pubblico cinese, magrebino, senegalese. Ieri è stato presentato un film filippino con una famosa attrice locale (l'litalofilippina Alessandra de Rossi) e sono arrivate comunità filippine fin da Como e Modena.

Poi c'è il pubblico degli affezionati, che non si perde una proiezione. Abbiamo anche lavorato sullo scambio di audience con gli altri festival milanesi. In tutto siamo sette e tre anni fa abbiamo creato la rete del Milano Film Network per mettere in comune le risorse e coinvolgere maggiormente gli spettatori.

L'aspetto negativo invece, che non riguarda solo noi, è che non c'è un grande ricambio generazionale. Facciamo molto per cercare di coinvolgere le università, i giovani: portiamo i nostri film nelle scuole, abbiamo creato la tessera young, con cui gli under 21 entrano gratis, offriamo dei tirocini agli universitari durante il festival. Ma tutto questo non basta per contrastare quella che è una tendenza mondiale.

Voglio però restare ottimista: si dice che in America dopo il boom dell'ebook ora tutti rivogliono la carta. Io spero che dopo il boom del film su internet tutti vogliano tornare nelle sale.

 

* Giornalista de il Manifesto

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