I DOCUMENTARISTI SONO GLI ANARCHICI DEL CINEMA

I DOCUMENTARISTI SONO GLI ANARCHICI DEL CINEMA
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Bianco/nero e colore, pellicola e digitale, immagini d'archivio, interviste, reportage, video-lettere, performance musicali e teatrali. Fotografie di un mondo libertario. Nel racconto di Bruno Bigoni, autore di Περì Αναρχìας - Sull’anarchia, evento speciale. L’abbiamo incontrato 

 

L'avevamo lasciato alla ricerca del Colore del Vento (2011), nella sua piccola Odissea del Mar Mediterraneo, in rotta verso la libertà. Se ogni banchina di attracco è un molo di partenza, l'eclettica figura di Bruno Bigoni, regista, sceneggiatore, produttore, co-fondatore del Teatro dell'Elfo (1972) e co-ideatore di Filmmaker, ci invita oggi a intraprendere un secondo viaggio: destinazione Περì Αναρχìας - Sull'anarchia (2014).

Un percorso esistenziale in realtà già aperto proprio tre anni fa, a Barcellona, con l'incontro di Conxa Perex Collado, esponente di spicco nell'organizzazione anarco-femminista spagnola e militante nella Guerra Civile scomparsa in aprile a novantacinque anni e alla quale è dedicato il film.

Un cammino visuale e musicale fotografato in nove storie, espresso dall'ibridazione di registri linguistici diversi, dalla contaminazione di forme e stili, dall'intreccio di sguardi e parole, dall'unione di anime e pensieri, volto a indagare le diverse declinazioni dell'ideale, l'esperienza dell'essere anarchici e le infinite realtà libertarie che si condensano nella quotidianità.

 

Testimonianze, immagini, scritti, canzoni e performance assemblate come tasselli di un mosaico, per dare vita a un collage ininterrotto di citazioni poetiche e vite anarchiche. Un accostamento tra materiali di diversa origine – archivi, libri, lettere, spartiti, gesti, racconti – provenienti da mondi differenti – cinema, musica, teatro, scuola, realtà – che fa da sottotesto e da contrappunto all'oggetto del film, da riflesso e riscontro al concetto dell'anarchia. Indispensabile quindi il meticciato artistico, profonda la riflessione finale: «La sostanza dell'anarchia?» si chiede il cantautore Alessio Lega, «L'amore per la vita» risponde senza esitazioni.

Una forma stilistica che diviene sostanza ideologica, un film sull'anarchia e con l'anarchia, un testo filmico che ritrova proprio nel Festival il suo senso più letterale. E allora, il pensiero corre a quel «cinema per scoprire l'umanità» di Lech Kowalski, alla «ricerca perenne della dignità della vita» negli orizzonti della Patagonia di Lisandro Alonso, al «cinema sperimentale e condiviso» di Alessandro Abba Legnazzi. Ai tanti spunti di riflessione suggeriti dai protagonisti anarchici intervistati dal regista milanese: «Una gioventù materialistica quella di oggi, noi eravamo più romantici» (Conxa Perez Collado); «L'anarchia è una straordinaria ferocia del pensiero» (Maurizio Maggiani); «è l'orizzonte infinito» (Pino Cacucci); «è un sistema, un processo, un tentativo», «è istinto» (Stefano Boni), «è ricerca» (Francesco), «è armonia» (Sarah Cereghini), è «liberare spazi» (Alessio Lega).

 

Con le loro voci, le immagini d'archivio spagnole, gli sketch di pellicole antiche, le lettere scritte col cuore, i reading musicali italiani, l'esibizione teatrale americana, l'esperienza di una pedagogia libertaria, i versi cantati con una chitarra, gli occhi velati di Claudia Pinelli, incontriamo l'autore di questo ricchissimo puzzle anarchico.

 

Dal nostro ultimo incontro sul cargo del Colore del Vento nel 2011, siamo qui a parlare di un altro viaggio. Come pensare i due percorsi cinematografici? Hanno punti in comune?

Già, dobbiamo fare un passo indietro. Il punto di partenza del film Sull'Anarchia è a Barcellona, prima tappa del mio precedente lavoro, dove incontrai Conxa Perez Collado, purtroppo mancata qualche mese fa. Ho deciso di iniziare dalla sua figura per proseguire e ampliare il concetto di libertà proposto nel lavoro precedente.

 

Dalla libertà all'anarchia allora. Perché un film su un tema così complesso?

L'esigenza è nata dalla volontà di allargare il campo di riflessione, di indagare come e per quale ragione ogni persona abbia dentro di se una propria anarchia, di fotografare il mondo libertario nelle sue infinite sfaccettature. Un'esperienza totalitaria che mi ha rimesso in viaggio alla scoperta di mondi diversi e difficili, non sempre passibili di racconto.

 

Come nello scorso lungometraggio, nel film si nota il ricorso a diversi registri linguistici: qual è il punto di forza di questa scelta stilistica?

Premetto che adoro la contaminazione, l'ibridazione di generi, stili, linguaggi e forma artistiche. E mai come per la descrizione dell'anarchia ho trovato calzante adoperare questa metodologia che riflette il cuore della questione: l'anarchia non ha una sola forma. Trovo che il cinema offra davvero una preziosa occasione nella narrazione di idee e ideologie.

 

In linea con le tue opere, tra le tante soluzioni linguistiche che utilizzi, la musica sembra avere sempre un ruolo di maggiore importanza. Concordi?

Sì, per la scelta delle musiche ho fatto un grandissimo lavoro. Il repertorio della musica anarchica è immenso e non è stato facile fare delle scelte. Tra tutto il lavoro di selezione del materiale, l'aspetto musicale è quello che ha richiesto più tempo.

 

Da un punto di vista tecnico come ti sei organizzato? Con quanto girato ti sei trovato a riprese finite?

In realtà le riprese pur essendo durate pochi mesi, da marzo a luglio, hanno prodotto moltissimo girato. Infatti, il pre-montato del film era di due ore. Poi ho deciso di tagliare ed è stata anche quella una scelta concettuale: non si finirebbe mai di raccontare la complessità del mondo libertario, l'idea dell'anarchia e le ideologie degli anarchici. Sai perché? Perché esistono mille forme e modi che gravitano sull'anarchia. Sarebbe un circolo narrativo infinito...

 

In questo mondo dai confini mai tracciati, che cosa hai imparato e che cosa ti porterai nei prossimi viaggi?

Il dialogo che ho avuto con un signore ottantaseienne, reduce della guerra civile; non scorderò mai le sue parole: «Io non sono un anarchico, sono un apprendista anarchico. Ho il pudore di non definirmi anarchico». Questa è l'essenza dell'anarchia. Più in generale è stata un'esperienza che mi ha aperto gli occhi, molte porte che pensavo si fossero chiuse o che non avevo più pensato che esistessero.

 

E allora, se ti chiedessi di definire che cosa sia l'anarchia che cosa mi diresti?

Non esiste una sola anarchia. Ci sono tante anarchie quante le persone che si dichiarano tali. È l'appartenenza a un'aristocrazia del pensiero. Per citare un cantautore al quale come sai sono molto legato, Fabrizio De André, l'anarchia è uno stato d'animo.

 

Dove la possiamo trovare nella vita di tutti i giorni?

C'è una bellissima immagine che rappresenta l'anarchia: un corso d'acqua. Come un ruscello scorre senza sosta, s'infila sotto le rocce, scivola da una terra all'altra; è inafferrabile. Non si vede perché si sente, si vive, si ama. Si ricerca perennemente come suggerisce l'intervistato Pino Cacucci sulle parole del giornalista Eduardo Galeano (Parole in cammino, 2006, n.d.r.): «Lei è all'orizzonte, mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi».

 

Perché hai scelto il doppio titolo in lingua greca e italiana?

Per preservare l'origine del termine dall'antica Grecia: mancanza di governo. Mi sono consultato con un grecista e ho capito subito che la preposizione “su” era fondamentale: un film sull'assenza di un leader. Del resto, anche noi documentaristi siamo anarchici del cinema.

 

Dove viaggerai, ora, con la tua anarchia?

Andrò al Festival di Trieste e spero di riuscire a creare un dvd per raccontare tutto quello che in un’ora non era possibile: tutto l'extra che si possa ancora cercare.

 

Sull'anarchia di Bruno Bigoni, Eventi Speciali, mar 2 dicembre, ore 19.00, Cinema Palestrina

 

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