A pochi mesi dalla vittoria a Locarno con From What Is Before, il regista filippino Lav Diaz presenta in Concorso Storm Children, Book One, sulla devastazione dei villaggi costieri da parte del tifone Yolanda del 2013, uno dei più violenti di sempre. Dal punto di vista dei bambini
Dopo il ciclone, nulla rimane. Lav Diaz affida ai piccoli sopravvissuti il compito di ricostruire l’identità collettiva del villaggio e le loro vite, in un documentario delicato e penetrante di grande fascino e poesia.
Grazie alla sua opera originale e innovativa, il cineasta filippino è riconosciuto come uno degli autori più interessanti degli ultimi anni. Fin dagli esordi Diaz ha sviluppato uno stile che si è evoluto in un vero e proprio credo artistico. Un utilizzo espressivo del bianco e nero, l’emarginazione della parola e l’uso di lunghissimi piani-sequenza e di inquadrature fisse.
Lav Diaz rifiuta ogni forma di abbellimento formale o di decorazione nel costruire le proprie immagini, senza seguire alcun dogma o rigida teoria.
La sua macchina segue i soggetti in modo organico, paziente, attento all’azione ripresa e al suo divenire.
Un’ideologia della realtà, a servizio della propria terra natale. Filippine terra di misteri e di catastrofi. Il cataclisma politico della dittatura di Marcos raccontata nel film vincitore del Pardo d’Oro From What Is Before, e la devastazione naturale del tifone Yolanda di Storm Children.
Il tema dei cicloni tropicali era già stato affrontato dal regista nel 2008 con Death in the Land of Encantos, vincitore a Venezia 64 nella sezione Orizzonti.
L’intera opera di Lav Diaz va infatti vista come un continuum narrativo e tematico, segnato da uno stile specifico e da un unico sguardo. Un occhio attento alle reazioni e alla lotta per la vita della sua gente, alla fragilità dell’esistenza umana di fronte alla natura.
Storm Children, Book One è, come anticipa il titolo, il primo capitolo di un progetto artistico più lungo, e anche per questo il film si ferma a una durata relativamente breve, 143 minuti: «Questa è solo la prima incursione» scrive Diaz. «Il Primo Libro, per così dire. Ce ne saranno altri». Il film in concorso a Filmmaker fotografa il lato devastatore della natura, racconta una terra lacerata, dimenticata, abbandonata al suo destino. Il dramma è visto dal punto di vista dei bambini sopravvissuti alla catastrofe, una comunità vergine ma già segnata dalla distruzione, che cerca un modo per ricomporre la città e ricostruire le proprie vite. Dopo l’acqua incessante e la pioggia torrenziale rimangono le rovine. I detriti si mischiano ai rifiuti in fiumi di fango e macerie. Un film senza parole ma non muto: il sottofondo continuo del vento e della pioggia, dei clacson delle macchine e dei rumori della strada accompagna le immagini. Le vie allagate sono un parco giochi per i più piccoli, le navi incagliate dopo la deriva sono castelli da esplorare, le montagne di rifiuti possibili forzieri di tesori nascosti. Così buona parte delle riprese si concentra sulla ricerca dei bambini in mezzo alle rovine del villaggio. Ma che cosa cercano: il loro passato, o il loro futuro? Un gioco, un tesoro o un affetto perduto? I bambini giocano e scavano nei ricordi, si tuffano in quel mare che ha sommerso il proprio villaggio e il proprio passato. Sono bambini già adulti che attingono l’acqua al pozzo, che aiutano una famiglia che non esiste più: che cosa significa crescere lì?
La morte aleggia sulle spiagge, le abitazioni distrutte, una memoria geografica stravolta. Eppure in mezzo a questa devastazione il film non è mai emotivamente ricattatorio, non c’è traccia di ipocrisia.
Lav Diaz costruisce quadri di rara potenza evocatrice, una forza lirica che conquista e fa perdere lo spettatore. La poesia dello scorrere del tempo non ha fretta, lascia che lo sguardo osservi ogni dettaglio in campo. Non interrompere un’azione, concedersi il tempo di seguire le figure in campo: queste le regole che il regista osserva per perseguire il suo ideale di verità. Quadri in movimento che si armonizzano al sottofondo di rumori avvolgenti: quasi un’installazione che ci porta dentro il dramma dell’arcipelago filippino. Nei titoli di coda non è un caso che sia scritto “fotografato da Lav Diaz” e non diretto. La trama non conta, il tempo è incastrato nelle inquadrature fisse. Il flusso del tempo che scorre lento entra in contrasto con la corrente torrenziale che ha spazzato via interi villaggi. Un tempo deformato, dilatato, nel quale la comunità dei più piccoli cerca di riprendersi un futuro fra le rovine del proprio passato.
Storm Children, Book One, di Lav Diaz, Concorso, mar 2 dicembre, ore 21.30, Cinema Palestrina
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