IL PARADISO PUÒ ATTENDERE

IL PARADISO PUÒ ATTENDERE
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L'immigrazione è protagonista di Life in Paradise di Roman Vital e Les messagers di Hélène Crouzillat e Laetitia Tura presentati nella sezione Colpe di Stato. Abbiamo parlato di questo tema molto caldo con Luca Cusani (classe 1973), presidente del Naga, associazione milanese di assistenza socio-sanitaria agli stranieri.

 
 
Che tipo di attività svolge quotidianamente il Naga e perché organizzate questi eventi con il MFF?
Il Naga è un’associazione che offre assistenza sanitaria e legale a cittadini stranieri irregolari e regolari. Ci piace l’idea che, al di là dell’urgenza della nostra attività quotidiana, si possa affrontare il tema dell’immigrazione da una diversa angolatura. Sarebbe bello che i film potessero cambiare la percezione delle cose per le persone. So che non è così immediato, sono anche consapevole che chi va a vedere questi film probabilmente è già sensibili all’argomento, ma rimangono delle occasioni per aprire gli occhi su certe questioni, con sguardi inediti. 
Solitamente produciamo anche un piccolo cortometraggio che fa da preambolo alla proiezione del film, quest’anno ci sarà solo un piccolo spot, ma ha un taglio documentaristico della realtà. Abbiamo ripreso la telefonata che una volontaria fa per conto di un peruviano che altrimenti non potrebbe comunicare con la sua famiglia. 
 
 
Come è caduta la scelta su questi due film?
A differenza degli anni scorsi, i film ci sono stati proposti dal MFF, ma c’è stato accordo immediato. I due film scelti raccontano situazioni che conosciamo perfettamente e che viviamo quotidianamente. Inoltre parlano di realtà non così lontane da noi. La situazione di Life in Paradise, per esempio, è simile a quello che è successo di recente a Montecampione, vicino Brescia, dove i profughi erano stati messi in una stazione sciistica abbandonata. 
 
 
Cosa hai ritrovato delle tue esperienze al Naga? 
Molto. I protagonisti dei film sono molto simili alle persone che arrivano al Naga. Chi riesce ad arrivare in Europa e fa richiesta d’asilo passa nella nostra struttura che ha una sede esclusivamente dedicata a rifugiati e vittime di tortura. 
 
 
Nelle storie si percepisce la delusione dei migranti che arrivano in Europa. Come pensi vivano queste situazioni? 
C’è sicuramente un problema di delusione delle aspettative. L’idea con cui partono è che, dopo tutte queste fatiche e sofferenze, l’arrivo non possa che essere una liberazione. Invece una volta qui entrano in una macchinosa spirale giuridica e molto spesso in un limbo esistenziale. C’è quindi rassegnazione, si è schiacciati in un ingranaggio che è stritolante. D’altra parte, però, queste persone hanno anche una determinazione molto forte, una forza ammirevole. 
 
 
Ciò che emerge dai film è che il sistema legislativo è troppo rigido...
Noi come associazione pensiamo che la migrazione sia un fenomeno naturale e inarrestabile, le persone cercheranno sempre, in un modo o nell’altro, di partire e di arrivare. Bisognerebbe prendere atto di questo e fare in modo che ci siano maggiori possibilità di circolazione. Se non c’è questa possibilità del resto spesso si entra in un circuito di clandestinità che è peggiorativo delle condizioni di vita. La difesa assoluta dei confini e della propria identità è un po’ ottusa. 
 
 
Colpe di Stato in collaborazione con Naga 
Life in paradise, 19.00, Les Messagers, 21.00, mar 9, Spazio Oberdan

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