VIAGGIO AL TERMINE DELLE LINEE PARALLELE

VIAGGIO AL TERMINE DELLE LINEE PARALLELE
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Oggi in concorso Nuovi Sguardi Parallel Lines Meet at the Infinity, primo lungometraggio della regista russa Lika Alekseeva. L'autrice racconta al Daily Milano Film Network la genesi del film. Un'opera destabilizzante

 

Un fotografo ossessionato dall'idea di fissare nell'immagine la paura nella sua essenza e che per farlo è disposto a spingere le sue modelle fino all'orlo dell'abisso. Una giovane donna determinata a riannodare il filo di un incontro con qualcuno ormai perduto. Passato e presente si inseguono e si intrecciano nelle vite a due tempi di Egor e Sasha, una volta amici, ora sconosciuti.

Parallel Lines Meet at the Infinity, opera prima di Lika Alekseeva, scommette sulla possibilità di un cambiamento. Che forse i due protagonisti coglieranno.

 

Come nasce Parallel Lines Meet at the Infinity?

La storia di Egor e Sasha prima di essere un film è stato un cortometraggio che si limitava a raccontare l'infanzia dei personaggi. Egor è introverso, la vittima preferita dei compagni di scuola, e Sasha sembra l'unica persona in grado di socializzare con lui. Finché proprio Egor non tradisce la sua amicizia. Parallel Lines nasce perché volevo immaginare che cosa sarebbe successo se, tanti anni dopo, i due personaggi si fossero ritrovati.

 

Il film è basato su una storia vera?

Sì, i personaggi sono modellati su due persone che la co-sceneggiatrice Tatiana Zagday ha conosciuto realmente. La prima è stata l'ispirazione per Egor bambino, isolato dai compagni di classe, che sfoga le sue emozioni represse disegnando gli insegnanti e gli altri bambini in scene di violenza: figure mutilate, teste mozzate, sfondi pieni di sangue. La seconda è alla base del personaggio di Egor adulto, un fotografo dal carattere chiuso, indifferente alle emozioni, qualcuno che non riesce a stare in mezzo alla gente e preferisce osservare gli altri a distanza. Potrebbe sembrare un paradosso per un fotografo che, come lui, avrebbe bisogno di entrare in empatia con i suoi modelli. Il tema delle sue fotografie, però, è la paura e il carattere di Egor, paradossalmente, potrebbe rivelarsi un aiuto nel suo lavoro, più che un ostacolo.

 

Pensi che sia possibile mettere in scena la paura o che si debba solo provare a registrarla, catturare il momento?

Non possiamo ricreare a tavolino le emozioni. Io tendo a lasciare molto spazio all'improvvisazione, per far sì che gli attori risolvano la situazione in cui si trovano alla ricerca della loro verità, in modo che la scena sia più autentica.

 

Come hanno reagito gli attori quando li hai sollecitati a improvvisare?

Egor (è il nome sia dell'attore sia del personaggio, nda) aveva bisogno di tante spiegazioni, inizialmente. Faceva molte domande perché non riusciva a convincersi di come dovesse interpretare il personaggio. Poco alla volta, però, ha imparato a lasciarsi andare e improvvisare con sicurezza, vivendo egli stesso le emozioni - anzi, la mancanza di emozioni - del personaggio.

 

Il finale del film è molto intenso. Lo hai concepito così fin dall'inizio?

Abbiamo girato tre finali diversi ed è stato difficile immaginare quale avrebbe funzionato meglio, temevamo che una conclusione troppo netta non avrebbe reso giustizia alla complessità dei personaggi. Abbiamo scelto, quindi, di lasciare allo spettatore il dubbio sul modo in cui si sarebbe sviluppata la storia. Non volevamo che nessuno dei personaggi trovasse una "scorciatoia" nell'epilogo che avevamo scelto.

 

Parallel Lines Meet at the Infinity, Nuovi Sguardi, lun 21 marzo, ore 21:15 Spazio Oberdan.

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