Il nuovo film di Wilma Labate mette in scena l'incontro tra un gruppo di ragazzi, studenti della regista, e Jana, premiata col Nastro d'Argento, prostituta che racconta senza imbarazzi la sua professione. Una scommessa, che è quasi una provocazione, e conduce piano piano tutti i protagonisti a rivelare lati inaspettati di se stessi
Da Signorina Effe (2007) sono passati diversi anni, era il film che ripercorreva la marcia dei quarantamila, i quadri della Fiat scesi in piazza contro i picchetti e gli scioperi degli operai nel 1980. E lo faceva attraverso un personaggio femminile, una ragazza figlia di operai immigrati dal sud come tanti che «arriva» dall'altra parte, lontano dalla catena di montaggio, negli uffici dove si decide.
Ma nel cinema di Wilma Labate capita spesso di incontrare figure di donne, era così il suo esordio Ambrogio (1992), con la fanciulla che studia per diventare capitano di lungo corso sfidando un regno incontrastato di soli maschi. Oppure storie «scomode», anche narrare la Fiat "dalla parte” dei quarantamila è quantomeno eccentrico rispetto alla tradizione del cinema operaio. Così come è quasi una provocazione in Italia affrontare il tabù dei tabù, i cosiddetti anni di piombo italiani come Labate ha fatto in La mia generazione (1996), ancora una volta privilegiando il conflitto alle risposte pronte.
Lo stesso accade in questo nuovo, indipendentissimo (e non solo per budget) Qualcosa di noi – in anteprima a Sguardi Altrove e presto in sala - in cui mette al centro ancora una volta un personaggio femminile, una donna forte e affascinante, coi capelli platino cortissimi e tatuaggi ovunque che si chiama Jana e nella vita fa la prostituta. Insieme a lei da quello che appare all'inizio come un colpo divertito di teatro boulevardiano - Jana che ritrova il vecchio albergo di piacere nel piano superiore del ristorante - «Sotto si mangiava, qui c'era il dolce» - si avventura (e ci porta) nel terreno assai complesso, e pure un poco scivoloso della vita in cui le certezze finiscono per confondersi.
Il luogo è un borgo vicino a Sasso Marconi, fuori Bologna, in mezzo ai campi, nel giardino di quella antica casa di incontri amorosi a pagamento. Wilma Labate porta con sé i suoi undici allievi della Bottega Finzioni, la scuola bolognese di scrittura dove ha insegnato per un anno. Sono giovani, trentenni o poco più, e molto diversi tra di loro: c'è Laura che è un'attrice e si è spostata a Roma, dove fa l'occupante del Teatro Valle «a tempo pieno», ad ascoltarla oggi la sua storia diventa quasi una memoria contemporanea di quell'esperienza. E c'è Silvia che scrive il suo blog con uno pseudonimo «perché il nome non lo hai scelto tu». Un po' tutti loro pensano alla scrittura come qualcosa di lontano da raggiungere. Qualcuno ci ride anche un po' su. Racconta Wilma Labate: «Il film è nato quasi come una scommessa, volevo mettere alla prova gli allievi,risvegliarli dal torpore che spesso di respira in aula coinvolgendoli nel mistero di un set».
Eccoci dunque nella stanza bianca insieme a Jana che svela con malizia divertita i segreti della seduzione: il separé che nasconde agli occhi del cliente la ragazza mentre si spoglia, lo specchio su cui si riflettono le nudità. «Guardare eccita moltissimo, ci sono infiniti stratagemmi per accelerare la tensione erotica» spiega. I ragazzi l'ascoltano un po' incuriositi, un po' perplessi.
Tu lo faresti? è la domanda che vaga nell'aria e che presto si concretizza. No afferma sicura una ragazza. C'è chi lavora ventitrè ore al giorno replica piccato un altro senza prostituirsi. Ma le certezze non interessano Labate che piano piano conduce in questo gioco di reciproco “disvelamento” in cui tutti i suoi protagonisti mostrano un lato di se stessi meno evidente.
Le dimensioni contano? chiede un po' arrossendo un altro ragazzo. Jana risponde a tutto, molto a suo agio all'apparenza, che quel lavoro, quel suo corpo-azienda ha imparato a guardarlo da lontano; è la distanza le permette di tornare a casa la sera e di amare solo il suo uomo dopo avere lavorato per accontentarne degli altri. «Tutto dipende dal valore monetario che dai la tuo corpo» dice con freddezza.
Possibile? sembrano chiedersi i ragazzi. Il fatto è che Jana non cerca giustificazioni, e nemmeno Labate, i moralismi o le sentenze non interessano la sua macchina da presa che predilige invece i bordi, gli spazi vuoti, incerti. Piano piano le voci si intrecciano, qualcuno ricorda quando da ragazzetto è andato con una prostituta: erano quattro africane, lui sembrava il pappa di diciannove anni. Poi nel momento che hanno fatto sesso si è messo quasi a piangere, e lei si è spaventata. I dubbi si accavallano, si parla di desiderio e di sopravvivenza, di cosa significa trasgressione, dei sentimenti che fanno davvero paura. Di “Qualcosa di noi”.
Qualcosa di noi di Wilma Labate, merc 25, ore 20.30, Cinema Beltrade
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