GLI ECHI DEL SILENZIO

GLI ECHI DEL SILENZIO
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Abbiamo incontrato Hélène Crouzillat al teatro Strehler. La regista francese ci ha parlato di Les messagers, suo documentario d'esordio che ha realizzato con la fotografa Laetitia Tura.

 

Il film raccoglie le testimonianze dei migranti africani intrappolati in Marocco e Tunisia, lungo la barriera di separazione di Ceuta e Melilla, le due città autonome spagnole in territorio marocchino. Due muri paralleli di rete metallica, alti più di 3 metri, con posti di vigilanza e un sistema di sensori elettronici e di videocamere a circuito chiusoCostruita per bloccare il flusso di clandestini che attraverso il Sahara raggiungono il confine europeo, questa barriera rappresenta l'epilogo di un viaggio che per molti migranti dura diversi anni e spesso finisce tragicamente.

Crouzillat e Tura hanno cercato di restituire attraverso i racconti dei sopravvissuti la memoria di chi è scomparso nel deserto, nel tentativo di valicare la frontiera o tra le onde del Mediterraneo.

 

Le riprese del film sono iniziate nel 2007 e finite nel 2012, quali difficoltà avete incontrato durante la sua realizzazione?
In realtà Les messagers non nasce come film. Nel 2007 Laetitia mi ha mostrato delle foto da lei realizzate tra Melilla e Ceuta e insieme abbiamo deciso di portare avanti un progetto che raccontasse le storie dei migranti. Abbiamo fatto dei sopralluoghi e impiegato diversi mesi a studiare la situazione e a capire come muoverci. L'idea di realizzare un vero e proprio documentario è nata successivamente.
 
 
Come siete riuscite a raccogliere le testimonianze dei migranti?
C'è voluto molto tempo. Si tratta di uomini e donne che vivono in situazioni di estremo pericolo, minacciati dalle incursioni della polizia di frontiera marocchina e impauriti dal clima di omertà che le autorità vorrebbero mantenere sui crimini commessi. Molti di loro sono partiti o sono stati arrestati durante le riprese e quando questo accadeva le storie rimanevano sospese. Alcuni migranti non volevano parlare perché temevano di non essere creduti, un po' come succedeva agli ebrei usciti dai campi di sterminio. Altri ci hanno chiesto del denaro in cambio della loro testimonianza, ma non abbiamo mai accettato, volevamo lavorare solo sulla fiducia. Poi è scattato il passaparola e le persone hanno capito che eravamo dalla loro parte.
 
 
Le riprese sono tutte in interni e a camera fissa. Perché questa scelta? È una forma di riguardo verso gli intervistati?
In un certo senso sì. C'era però anche una volontà di rendere universale il discorso: queste sono storie che purtroppo fanno parte della nostra realtà e capitano ovunque. Va in questo senso anche la scelta di non dare indicazioni geografiche. Volevamo canalizzare l'attenzione sulle persone e sulle loro storie. Anche l'inserzione delle fotografie di Laetitia, che interrompono la narrazione, è un invito alla riflessione. 
 
 
Come è stato prodotto il film?
Nel 2011 abbiamo organizzato una raccolta fondi particolare. Abbiamo messo in vendita gli originali degli scatti di Laetitia a 120-130 euro, e successivamente abbiamo realizzato un libro per raccontare il nostro progetto. Una coppia ha deciso di finanziarci e ci ha presentate alla curatrice di una casa di produzione cinematografica, grazie a lei e al crowdfunding abbiamo trovato i soldi per continuare la scrittura del film e iniziare a montare.
 
Colpe di Stato
Les messagers, mar. 09, ore 21, Spazio Oberdan; gio. 11, ore 18.30 Auditorium San Fedele

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