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I COLORI DELL’INGIUSTIZIA
di Luca Barnabé

Oltre al vincitore, The Mocked One, tra i cortometraggi si distinguono Aya Goes to the Beach e The Migrant Business, due storie di sfruttamento quotidiano

Oltre al vincitore della sezione Cortometraggi, The Mocked One (si legga l'articolo sul film), hanno ottenuto la menzione speciale: il film marocchino Aya Goes to the Beach di Maryam Touzani (al festival in anteprima europea) e il kenyota The Migrant Business di Ng’endo Mukii (anteprima nazionale).

Due racconti brevi quanto efficaci di diverse forme di sfruttamento e ingiustizia umana.

Aya Goes to the Beach narra la storia di una ragazzina di Casablanca. Pare una bimba come tante, disegna su un foglio, sorride fissando foto e ritagli di giornale prima di addormentarsi. Un primo indizio che la sua non è una situazione serena, propria dell’infanzia, è che nasconde i disegni e i ritagli di giornale dentro la federa del cuscino e sotto il materasso.

La mattina successiva la vediamo mentre impasta con forza e impegno il pane della colazione per la “padrona”. «Troppo tardi, Aya!». Lava i piatti su uno sgabello, pulisce a fondo il pavimento con strofinacci e sapone.

Nonostante la giovane età la ragazza lavora come domestica ed è letteralmente imprigionata tra le mura di una casa non sua. Le uniche distrazioni sono il sole e la compagnia di un piccione mentre stende i panni, un cartoon alla televisione e la compagnia della vicina Habiba costretta su una sedia a rotelle.

Tutto il film sposa il punto di vista della bambina, è alla sua altezza. In pochi minuti mostra quanto la grazia e l’urgenza di libertà possano essere più forti del potere. Il titolo – come Un condannato a morte è fuggito di Bresson – anticipa già il finale, anche se la spiaggia non la vedremo mai.

This Migrant Business è invece un racconto in tecnica mista – animazione e attori – che rivela lo sfruttamento dei migranti in cerca di una vita migliore.

Alcuni cartelli cuciti alla mappa dell’Africa (Sudan del Sud, Repubblica Centrafricana…) sono la didascalia che introduce il dramma quotidiano delle vite umane usate come merce. Lo sfruttatore africano è interpretato da un attore, i migranti rimangono ombre cartoon, fantasmi imprigionati in un loop dall’Africa verso l’Europa poi respinti di nuovo al punto di partenza. I loro corpi e il colore dei loro corpi sembrano vibrare nell’animazione. Il denaro dei “commercianti” è rosso sangue.

L’Europa è un miraggio che vedono da lontano rappresentata dagli edifici simbolo stipati e storpiati in un improbabile “unico luogo” in cui convivono torre Eiffel e Big Ben. Rivedranno le stesse icone-monumento-miraggio attraverso il finestrino di un aereo che li riporta inesorabilmente a casa.

Il sogno di ripartire però non muore e chi commercia con le loro vite continua a lucrare in modo disumano proprio su questo.