TU VO’ FA’ L’AMERICANO

TU VO’ FA’ L’AMERICANO
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Metti un venerdì milanese, un aperitivo sul Sagrato del Piccolo e dell’hip pop made in Italy in sottofondo. Ho creato lo scenario ideale per incontrare il regista francese Pascal Tessaud. È qui per presentare il suo primo lungometraggio, Brooklyn, e con i suoi 39 anni suonati, è forse il regista più “vecchio” in concorso al MFF. I ruoli si invertono. Sto al gioco e lascio che dia libero sfogo alla curiosità facendomi intervistare. «Esistono donne che fanno rap in Italia? Quale scena del film ti è piaciuta di più?»

Poi tutto torna alla normalità e finalmente posso cominciare la mia intervista. 

 

Pascal, perché hai scelto Brooklyn come titolo per parlare di una ragazza di colore che fa rap in una banlieue?

Penso che siamo tutti un po’ americani in Europa. Qui regna il capitalismo a stelle e strisce. Tutti noi rincorriamo il sogno americano. È dal secondo dopoguerra che gli yankees dettano il modello da seguire per avere successo nella vita. Naturalmente la mia è una denuncia. Ciò che realmente amo di NY è la sua duplicità, la controcultura della lotta afroamericana, madre dell’hip pop e di tutto quello che per me è arte. Se devo scegliere tra East e West Coast non ho dubbi: Biggie, Nas, Wu-tang Clan, Mobb Deep. Il loro rap, almeno in origine, era più vicino alla realtà della strada, non era Gangsta rap ma Conscious rap e per questo lo apprezzo. 

 

Saint Denis è una piccola città a nord di Parigi. Hai ambientato la storia di Coralie, Issa e Yazid dove hai vissuto a lungo. Come mai questa scelta così personale?

Tutto il film è molto personale. Certo, io non sono una donna nera che fa rap. Ma anch’io 15 anni fa, come lei, ho lavorato in un centro sociale. Sono nato a Parigi, ma è a Saint Denis che mi trovo a casa. Per 20 anni mio nonno ha lavorato come operaio in questa città, in cui coesistono 85 nazionalità diverse. Qui la classe operaia è molto radicata, mentre Parigi è una città aristocratica, in cui sei obbligato a perseguire la ricchezza. 

Sono innamorato di questo sobborgo un po’ africano, un po’ latino, in cui le persone parlano, cantano, vivono la strada insieme. Ho voluto raccontare la città da un punto di vista esterno, quello di Coralie. Una ragazza straniera, che viene dalla Svizzera per trovare la sua strada nel campo della musica e che viene accolta e accettata, perché è quello che succede realmente a Saint Denis.

 

Anche tu sei appassionato di rap?

Ho cominciato a fare rap quando avevo 14 anni, epoca in cui l’hip pop era ancora sconosciuto in Francia. Era qualcosa di veramente underground. Le radio suonavano solo brani melodici e l’arrivo della musica afroamericana del Bronx è stato un vero shock. Passavo le giornate a scambiare cassette con gli amici e per me tutto il resto era morto. Esisteva solo il rap.

 

Come è stato prodotto il film? 

Brooklyn è nato totalmente dal basso, girato su improvvisazioni e senza soldi. Un vero film in freestyle e con un budget iniziale di seimila euro. Ho impiegato un anno e mezzo per scriverlo e ho assodato amici e conoscenti per interpretare i personaggi. Quaranta persone che hanno lavorato gratis, compresa KT Gorique che interpreta Coralie, nella vita vera campionessa mondiale di freestyle. Eravamo tutti motivati dal desiderio di offrire un ritratto della cultura hip pop non strumentalizzato dai media. Un’altra realtà, non asservita alla borghesia francese e sconosciuta ai più.

 

Il rap come resistenza e strumento politico?

Il mio film parla di un problema di comunicazione tra generazioni. La mia è rappresentata nel film da Yazid: lui conosce la cultura hip hop e la sua visione critica della società (la lotta afroamericana, le battaglie per i diritti civili e la rivoluzione culturale di Malcom X). Quella attuale è la generazione di Issa, a lui non importa nulla della politica, pensa unicamente a diventare una celebrità, a fare soldi, a comparire davanti alla televisione. 

I ragazzi come Issa fanno una musica che in realtà non conoscono, perché non conoscono la Storia. Che senso hanno testi pieni di “io sono il migliore / guarda quanti soldi ho / io ho la piscina / le ragazze sono puttane”? Sono alienati dalla mentalità capitalistica e la cosa più triste è che vengono dalle borgate. Hanno genitori della classe operaia eppure si atteggiano a nuovi Berlusconi o Sarkozy. 

 

Concorso Lungometraggi

Brooklyn, sab 6, ore 15, Spazio Oberdan; lun 8, ore 21.30, Triennale, ven 12, ore 20.30, Teatro Strehler.

 

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