LA MIA COPPIA FUORI DAL GENERE

LA MIA COPPIA FUORI DAL GENERE
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Intervista a Annamaria Gallone, fondatrice e direttrice del Festival del Cinema Africano, d'Asia e America Latina di Milano e da qualche tempo anche regista. A Sguardi Altrove presenta il suo doc Lei è mio marito

 

Roberta e Alessandro sono una coppia come tante altre, finché lui non decide di diventare donna. I due rimangono insieme, ma la loro relazione non è sempre facile. Una storia straordinaria che la regista ha seguito per tre anni, un iter personale profondo e una storia d'amore, che emoziona e diverte. Un'eccezione per Annamaria Gallone che solitamente gira nel sud del mondo, ma che le ha permesso di rompere una serie di stereotipi che tutti ci portiamo dietro.

 

Cosa significa per lei essere donna in Italia e lavorare nel cinema?

È una piccola tragedia. È estremamente difficile per tutti però, uomini e donne. Non credo infatti che ci sia una discriminazione continua e diretta nei confronti delle donne, forse un tempo era così, ma ora non più. Sempre di più si trovano montatrici, registe, soprattutto nel documentario.

 

E perché secondo lei c'è più spazio per loro in questo genere?

Un po' per scelta, le donne infatti sono spesso più intimiste e amano scandagliare l'animo umano e le emozioni e il documentario si presta meglio in questo senso, un po' perché il maggior numero di uomini che fanno cinema, nonostante io non veda particolari disparità, permette loro di avere un accesso più facile anche ai costi della fiction che sono più alti. Ma al di là di questo, vedo un aumento delle donne in questo settore sia in Italia che in altri paesi del mondo.

 

Lei è fondatrice e direttrice artistica del Festival del Cinema Africano, d'Asia e America Latina. Come mai ha scelto di dedicarsi a quella specifica filmografia?

Perché ho vissuto molto nel mondo: 18 anni in Africa, 5 anni in Cina e 2 anni in Iran e ho sempre girato molto. Tornando dopo il lungo tempo trascorso in Africa mi sono resa conto che la cinematografia africana era semi sconosciuta. A quei tempi ero piena d'amore per quei luoghi e ho avuto la fortuna, grazie al COE, di curare una promozione del cinema africano in Italia.

Da qui abbiamo avuto l'idea di creare il festival che nel frattempo si è allargato verso gli altri due continenti, sia perché i confini sono sempre più labili, sia per creare delle possibili sinergie tra i diversi paesi. Una grande passione che si è trasformata in una realtà che purtroppo diventa sempre più difficile a causa della poca considerazione che l'Italia continua ad avere nei confronti della cultura.

 

Qualche cineasta che ama particolarmente della filmografia di cui si occupa?

Ce ne sono molte, io personalmente amo molto le tunisine Raja Amari e Leyla Bouzid, e Regina Fanta Nacro del Burkina Faso.

 

Lei è mio marito di Annamaria Gallone, lun 23, ore 18:00, Spazio Oberdan

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