L'IMMAGINE PERDUTA <br>DEI LUOGHI

L'IMMAGINE PERDUTA
DEI LUOGHI

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Un mese fa, il 7 marzo, 45 persone - tra civili e membri delle forze di sicurezza tunisine - sono state uccise da guerriglieri islamisti a Ben Guerdane, una cittadina di frontiera a pochi chilometri di distanza dal confine libico.

Ho passato mesi in quella zona, nel 2011 e 2012, per girare un documentario che poi si è intitolato In uno stato libero. Il mio tragitto quotidiano per settimane è stato Zarzis-Ben Guerdane-Ras Jedir, dove c’è il posto di confine. Era una geografia mutevole: la frontiera era di volta in volta tranquilla o in allerta, deserta o popolata da migliaia di profughi in transito dalla Libia in guerra. I cambiamenti avvenivano senza nessun preavviso. Ben Guerdane era a tutte le ore del giorno e della notte vivace: centro nevralgico del contrabbando dalla Libia, lì fervevano gli scambi, si concentravano le trattative, spesso le proteste di chi vedeva diminuito il proprio volume di traffico a causa del conflitto. La strada allora veniva bloccata, le barricate venivano erette nella notte, la tensione cresceva, per giorni si restava in stallo, il confine diventava irraggiungibile.

A Ras Jedir ho passato notti intere a riprendere il flusso ininterrotto dei transfughi e ricordo che da un giorno all’altro l’atto di filmare da semplicemente possibile diventava formalmente autorizzato (e questo richiedeva complesse procedure burocratiche, ufficiali oppure no), da drasticamente vietato a semplicemente ignorato. Quando ho letto della strage del 7 marzo ho pensato una volta di più a ciò che quasi sempre penso quando ricevo notizie dai luoghi dove sono stata e dove, con la mia videocamera, ho documentato fatti più o meno importanti che lì si stavano svolgendo. Che c’è un momento in cui filmare diventa impossibile. Perché qualcosa cambia e rende la presenza di un giornalista o di un filmmaker incompatibile con il contesto. E che sentire quando quel momento arriva non è sempre facile. Talvolta si tratta di un processo graduale, ci sono segnali. Talvolta è improvviso, inatteso.

Luoghi che sono stati oggetto di racconto diventano allora inaccessibili, come pianeti lontani. Confini un tempo porosi (Ras Jedir lo era al punto che per qualche misteriosa ragione capitava che fosse proprio la videocamera a costituire per le guardie confinarie il migliore dei lasciapassare) mutano in barriere insuperabili e nervose. Ed è come se quelle riprese, quel materiale, solo di pochi anni fa, sollecitato dalle rivoluzioni, poi diventate guerre, invecchiasse di colpo. Quei luoghi sono ancora lì, hanno lo stesso nome, ma sono diventati altri luoghi. E prima che si possa tornare a raccontarli passerà un lungo tempo vuoto. Saranno abitati da uomini e donne, teatro di avvenimenti piccoli e grandi, straziati dalla violenza o graziati dalla fortuna. Ma noi non lo sapremo. 

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