LA NOTTE PRIMA DEL FILM

LA NOTTE PRIMA DEL FILM
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Intervista a Giovanni Maderna che alla Biennale dei giovani artisti dell'Europa e del Mediterraneo ha curato il workshop Come nasce un film?

Dopo diciassette anni dalla presentazione del suo corto Dolce Stil Novo, Giovanni Maderna torna alla Biennale dei giovani artisti dell'Europa e del Mediterraneo, con il workshop intitolato Come nasce un film? Il progetto nasce dalla volontà di esplorare la genesi creativa dell'opera d'arte: dal primordiale desiderio d'esprimersi ai conflitti che caratterizzano le differenti fasi realizzative. Punto di partenza per il workshop è stato un articolo su The Guardian in cui Jonathan Franzen, raccontava il lungo processo di elaborazione del suo romanzo Freedom. «Questa intervista - dice Maderna - spiega bene quel momento della creazione artistica in cui combatti i tuoi demoni, la tua insicurezza, la fragilità di un progetto che a volte si ha paura persino di confidare ai nostri amici più cari. È un po' come quando si raccontano i sogni, nel sonno tutto sembra molto chiaro, e al risveglio invece la struttura narrativa ci appare esilissima».

 

Nella tua esperienza il momento di cui parli nel workshop è più forte se scrivi una sceneggiatura o se utilizzi per la preparazione una videocamera?

Credo che nel cinema non ci siano regole fisse, può appartenere indistintamente a entrambe. Cambia soltanto il supporto: durante la scrittura le difficoltà emergeranno sulla carta, mentre se in fase di ricerca utilizzi la videocamera puoi raccogliere materiale per anni, sapendo che questo lungo percorso potrebbe portarti a qualcosa di molto distante da quello che ti prefiggevi.

 

Quanto è elastica la scrittura di un tuo film rispetto all'imprevisto che può accadere durante le riprese?

L'imprevisto può essere un elemento che ti guida verso un unica scelta possibile. Si deve evitare di lasciarsi portare alla deriva a meno che non lo si scelga. Cerco di ridurre questo rischio in fase di scrittura anche se per me è molto più faticoso. Attualmente lavoro nel Regno Unito e ho notato che nei film d'autore anglosassoni, rispetto a quelli italiani, c'è un'umiltà maggiore di scrittura a scapito di certi manierismi. I produttori italiani prestano più attenzione al fatto che il film rientri nelle produzioni tipiche del nostro paese rispetto all'accuratezza della sceneggiatura.

 

Alberto Moravia sentiva ogni giorno la necessità fisica di confrontarsi con i tasti della macchina da scrivere. Nel tuo film Look Love Lost il rapporto tra te e la macchina da presa suggerisce l'idea di una pratica quotidiana. Come si è sviluppata?

Quel progetto era molto legato alla mia vita. Nel mio workshop ho citato come esempio estremo il caso di Roy Andersson (n.d.a. regista svedese, Leone d'oro a Venezia nel 2014 con Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza) che per 25 anni non ha girato alcun film limitandosi a pubblicità molto particolari: piani fissi all'interno di uno studio costruito da lui stesso. Questi spot sono divenuti una pratica quotidiana nella quale il regista ha elaborato uno stile tutto suo. La creazione di un proprio universo permette di avere delle coordinate entro cui muoversi.

 

Nel tuo workshop parli anche dei piccoli passi quotidiani compiuti da un'idea prima di prendere una forma precisa. Quanto resta delle suggestioni iniziali?

Il passo in avanti vuol dire pensare di aver capito un po' cosa stai facendo, è come un trattino in più nel contorno di questa forma. Non è detto poi che il disegno finale coincida con le intenzioni originarie. Devi certamente ricordare l'idea da dove sei partito ma nello stesso tempo anche essere capace di metterti in discussione. Nel progetti a cui sto lavorando attualmente c'è stato un grosso lavoro di sottrazione e semplificazione.

 

In che modo trovi il tono di voce più adatto alla storia che stai raccontando?

É un po' come un esercizio zen: devo rileggere e cercare di tenere insieme il filo narrativo e la sensazione di necessità cinematografica di ogni singola inquadratura. Fare lunghe passeggiate e non stare seduto per ore mi aiuta fisicamente a trovare l'equilibrio concettuale di cui ho bisogno. Anche l'umorismo può essere utile ad allentare un eccesso di tensione drammatica a volte controproducente.

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