Due fratellini, in seguito alla separazione dei genitori, si ritrovano abbandonati a casa della nonna in un paese dell’Italia meridionale, ai limiti della periferia dove città e campagna si scontrano creando un territorio ibrido. Qui cominciano a frequentare i ragazzini del posto e con questi costruiscono una baracca, un rifugio nel quale ritrovare un proprio spazio di libertà.
I due giovani registi Federico di Corato e Alessandro De Leo, neodiplomati alla Naba di Milano e reduci dall’esperienza locarnese tra i Pardi di domani, raccontano una storia di memoria e smarrimento attraverso l’uso alternato di due formati visivi diversi: quadri fissi, distanti e digitali e inquadrature amatoriali di una camera Hi8, ultimo baluardo dei formati analogici destinati all’home movie, creando così un peculiare linguaggio cinematografico e un sorprendente esordio alla regia.
La baracca è la vostra tesi di laurea e rappresenta la fine di un percorso accademico, ma anche l’inizio di uno professionale. Da dove nasce l’idea per il vostro primo cortometraggio?
Federico Di Corato: Inizialmente La baracca doveva essere un “rodaggio” in vista del film di tesi. Avevamo chiaro fin da subito di voler ragionare sull’estetica e sui formati del cinema amatoriale, nello specifico del film di famiglia. È uno dei cardini della formazione in Naba, all’interno di un quadro più ampio, legato all’uso dell’archivio e a pratiche di riutilizzo delle immagini. Da un lato mi affascinava questo discorso teorico, dall’altro né io né Alessandro volevamo rinunciare a fare un film di fiction, avvalendoci di una sceneggiatura e con dinamiche simili a quelle di un normale set cinematografico. In seguito non è stato esattamente così: il film è diventato, a suo modo, anche un film di montaggio, per una serie di inquadrature che sembravano quasi un backstage e per molte scene scaturite dall’improvvisazione, quando la camera era tra le mani dei bambini. Tutto ha trovato la giusta collocazione in fase di montaggio.
Alessandro De Leo: Entrambi sentivamo il bisogno di sperimentare utilizzando un linguaggio amatoriale, inoltre avevamo in comune la voglia di toccare alcuni temi, tra cui la perdita del nucleo familiare in relazione all’adolescenza e soprattutto la perdita della memoria, che rappresenta il motore del film. Federico ha iniziato a scrivere autonomamente la sceneggiatura; una volta letta l’ho trovata subito entusiasmante e ci siamo messi all’opera.
Complementarità o alterità nella coregia del film? Come vi siete divisi i compiti?
FDC: Sulla carta mi occupo della direzione della fotografia e quindi in primo luogo degli aspetti visivi del film, ma c’è un dialogo costante sul set. Avevamo già lavorato insieme a una serie di progetti, nello specifico videoclip, quindi sapevamo come dividerci i ruoli, ma erano situazioni in cui la recitazione aveva un ruolo molto ristretto. Sul set de La baracca entrambi ci siamo cimentati per la prima volta con la direzione degli attori, che richiede un lavoro in simbiosi con gli interpreti per raggiungere il giusto risultato espressivo. Ognuno di noi si è trovato ad avere una grandissima responsabilità per ogni aspetto del film e chiunque sul set si è dovuto prestare anche a mansioni non strettamente sue.
In montaggio, Alessandro era l’esecutore materiale, ma c’era da costruire un linguaggio: ogni scelta e ogni rielaborazione sono state frutto di un dialogo, proprio perché c’era la necessità di trovare di volta in volta la giusta collocazione per il materiale; la coregia ricorreva sempre.
Come è avvenuta la scelta degli attori e che tipo di rapporto avevate sul set?
ADL: La scelta degli attori è stata abbastanza spontanea, direi che siamo stati molto fortunati considerando la povertà dei mezzi di cui disponevamo. Il rapporto con i ragazzi è stato ottimo, anche tra di loro si è creata subito una grande complicità. Il film è loro tanto quanto è nostro.
Avete partecipato al Festival del film di Locarno nella sezione Pardi di domani: com’è stata l’esperienza del Festival e che tipo di feedback avete ricevuto?
FDC: Essere stati lì è una grande vittoria. Era totalmente impensabile a monte di un progetto di tesi, affrontato con grande entusiasmo e coraggio, ma con poca esperienza alle spalle e con budget quasi pari a zero, a eccezione di un piccolo finanziamento che abbiamo ottenuto vincendo il bando “In Contatto”, promosso dal Dipartimento della Gioventù e dal Comune di Andria. Il corto è frutto della determinazione di quanti l’hanno realizzato, in minima parte per lo stimolo della tesi, ma in gran parte per il desiderio di tutti di raccontare questa storia. Sono felice in primo luogo perché spero di aver ripagato l’impegno di tutti: quando ottieni un risultato così grande e puoi presentare il tuo film davanti a mille persone e a una sala piena ti tremano le gambe e rivedi il tuo lavoro in una dimensione nuova, è un’altra fiaba che si riapre all’interno del cinema.
ADL: L’esperienza di Locarno è stata davvero stimolante, abbiamo ricevuto molti complimenti; però se devo essere sincero mi aspettavo di ricevere critiche più analitiche, personalmente non mi è capitato di sostenere discussioni approfondite sul film.
FDC: I commenti sono stati quasi tutti utili e costruttivi. Mi è anche capitato di sentire cose contraddittorie da persone del cui giudizio mi fido per via dell’importanza e del peso professionale che hanno, proprio perché è un film che ha delle soluzioni abbastanza radicali. È un film che è stato ripensato al montaggio per creare quell’efficacia di linguaggio che avevamo in origine in mente per cui alcune scelte possono non convincere in maniera univoca. Qualcuno ha contestato l’utilizzo del doppio registro: ci sono le inquadrature esterne oggettive e le inquadrature della soggettiva interna. Mi ha fatto molto piacere che, soprattutto chi si occupa di cinema, ha capito che unendo queste due forme abbiamo creato un linguaggio, piuttosto che limitarci ad “appoggiarci” al genere amatoriale, con l’espediente della camera interna. Abbiamo unito due elementi che sulla carta non c’entrano niente ma che all’interno del film riescono a trovare, per una volontà ben precisa, la giusta collocazione e il giusto peso.
Quali sono i vostri prossimi progetti? Continuerete a lavorare insieme?
ADL: Stiamo lavorando separatamente a due progetti diversi, Fede porterà avanti questo lavoro facendone una trilogia, io invece sto per partire per gli Stati Uniti dove girerò un altro corto. In ogni caso continuiamo a dialogare e a chiamarci in causa sui rispettivi progetti. Ci stimiamo e ci vogliamo bene.
Federico, hai partecipato al workshop “In Progress” del Milano Film Network…
FDC: Sta finendo ora, il 15 settembre, chiudiamo i dossier del nuovo film. È stata una bella esperienza, ma è ancora tutto, appunto, “in progress”. Ciò che posso dire è che, mentre La baracca è un film maschile, ha come protagonista un ragazzino di dodici anni e la presenza femminile è ridotta alla voce fuori campo della madre all’inizio e all’unica bambina che – per nostra scelta- non ha nessuna battuta, nel secondo corto tratterò una fase più avanzata dell’adolescenza e ci sarà una protagonista femminile. L’analisi psicologica si sposterà quindi da un dualismo maschile, tra il protagonista e un ragazzino locale, a dinamiche relazionali tra donne: con la madre e con un’altra ragazza…
Come mai scegli personaggi nella fase adolescenziale?
FDC: Molto semplicemente perché penso che quello di cui si riesce a parlare bene è ciò di cui si ha un’esperienza diretta. L’adolescenza è la fase della vita di cui credo di riuscire a raccontare una serie di aspetti intimi in modo personale. Ne ho ancora vive in mente tutte le emozioni.
Concorso cortometraggi
La baracca (gruppo K), sab. 6, ore 22.30, Teatro Strehler; mar. 9, ore 22.30, Teatro Strehler; ven. 12, ore 15, Teatro Strehler.