PENSIERO BIONDO

PENSIERO BIONDO
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Icona senza tempo, Patty Pravo sarà al festival sabato sera per accompagnare Xenia di Panos H. Koutras, omaggio alle sue canzoni

 

Patty Pravo è la speranza realizzata della rivoluzione degli Anni 60 del secolo scorso. E pare di vederli ancora oggi su di lei, che è nei suoi Over Sixty, quegli anni sbandati e produttivi di idee che nascondevano la trasgressione sotto la coperta esile dell’apparente normalità. È arrivata nelle fattezze di un Ragazzo triste, come la sua prima cover (But you are mine, Sonny & Cher), quasi folletto asessuato che andava a genio a entrambi i sessi, eppure sexy. Un mix di ambiguità e dolcezza che la proietta in poche ore nell’area sospesa dell’iconicità. E lei, Nicoletta Strambelli, che da una Venezia tutta cardinale Roncalli (Giovanni XXIII) e Peggy Guggenheim (andava a casa sua a fare i compiti di scuola e a suonare il piano) si porta a Roma la ribellione dei suoi tempi, della sua gracilità fisica e della sua forza d’animo, già convinta che un Piper Club è la sicura rampa di lancio per un viaggio spaziale che dal 1966 l’ha portata, così com’è, fino a oggi per andare oltre.

Occhi bistrati di nero e capelli gonfi e biondi, anzi biondissimi, minigonne inguinali spesso censurate alla televisione, carica sensuale e buona dose di trasformismo per accettarsi androgina nella versione transgender alla David Bowie: erano gli anni dell’incontinenza creativa che dal decennio dell’immaginazione spaziale è passata a quella successiva dei Settanta permissivi. E la Patty sempre lì, icona trasformista perché utilizzabile da vari punti di vista: è l’idolo dei gay non ancora arrivati sul fronte della richiesta della legittimazione pubblica e che, per questo, nel chiuso dei locali e delle feste ne copiano i gesti e la voce (in verità, non difficile da imitare per un uomo); è il modello per le donne che rifiutano di restare in un angolo solo perché bionde e belle; è il sogno proibito dei maschi eterosessuali che di lei sognano solo la possibilità di partecipare alla sua trasgressione. Perché lei lo diceva chiaramente: è vero che mi fai girare come fossi una Bambola ma il gioco lo conduco io, e ti porto in campi che, senza di me, non esploreresti mai. Sarà anche per questo che la sua vita sentimentale non ha avuto la stabilità che, forse, lei richiedeva. I maschi etero si spaventano delle avventure, soprattutto se a proporgliele sono le donne. E specialmente se a farlo è una donna come Patty Pravo che ha nel suo cognome il significato pericoloso dell’anima prava (malvagia) dantesca: questo gli uomini non lo hanno mai saputo, ma la sua indipendenza li spaventa, li rende succubi, incapaci di controllare una situazione che li porterebbe lontano. Fino al punto in cui lei, invece, arriva facilmente, con i suoi look che via via diventano sempre più french glamorous o addirittura stregonescamente misterici, sempre giocando sul trasformismo, lasciandosi alle spalle i servizi fotografici per Playboy ma anche l’aria svagata e distratta del suo personaggio che improvvisamente emette giudizi competenti, taglienti e forti, assumendo sempre più decisamente il ruolo che il suo pubblico man mano le cuciva addosso, canzone dopo canzone, concerto dopo concerto, tour dopo tour, con titoli e nomi dall’improbabilità allusiva come la canzone Pensiero stupendo (1978) o il tour Notti, guai e libertà (1998) nato dopo la dichiarazione di E dimmi che non vuoi morire.

Ed eccola oggi qui, con addosso tutte le sue parti, con il ricordo della voce anomala, con la r che si arrotonda sempre di più in un vezzo che è l’accento del senso classico dell’icona, del riferimento e del mito che si rigenera, vestito spesso con l’ambiguità di giacche maschili adagiate sotto la chioma bionda, anzi biondissima, mentre le braccia su muovono plastiche e leggiadre a descrive cerchi in aria di indubbia e liberatoria perversione. Il che basta, anche da solo, a capire perché la si ama.

Sabato 21, 21.30, Sala grande

*Fashion director RCS

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