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SPERIMENTARE DALLE RADICI
di Francesca Bonfanti

Si conclude oggi la venticinquesima edizione di Invideo, il festival milanese che indaga sulla produzione d’immagine sperimentale e di ricerca. Con Romano Fattorossi, direttore insieme a Sandra Lischi, abbiamo cercato di capire l’evoluzione di questo linguaggio

L’incontro con Romano Fattorossi, curatore insieme a Sandra Lischi di Invideo, avviene alla Fabbrica del Vapore.

«Questa edizione credo unisca passato e presente di qui il titolo Passati Futuri. Il documentario sull’arte del Muro di Berlino, quello sugli anni Sessanta/Settanta di Felice Pesoli, il film collettivo sui luoghi della cultura a Milano realizzato da giovani filmmaker, sono tutte opere che tessono un dialogo tra epoche difformi e solo apparentemente lontane.». Fattorossi fa il punto sul festival con il Daily MFN nel suo ufficio ricco di storia Invideo (cataloghi, locandine, ricordi).

Invideo è giunto alla sua venticinquesima edizione, con un titolo, Passati Futuri, che sembra pensato appositamente per sottolineare la continuità del tempo. Come si è trovata questa cifra interpretativa?

Il titolo è stato una casualità. Il lavoro di selezione è abbastanza impegnativo, arriviamo a scegliere un quattro per cento circa del totale delle opere inviate dai registi. Molto materiale che arriva non risponde all’idea che sta dietro a Invideo, ovvero quella di un’immagine di ricerca e sperimentazione. Se arrivasse un capolavoro come Il Gattopardo, non potremmo tenerlo in considerazione. In base alla selezione emerge ogni anno un filo rosso che unisce nel profondo tutte le opere. In questo senso i titoli delle edizioni cambiano moltissimo. Quest’anno in particolare ci siamo accorti di un passo indietro, di un occhio rivolto alle proprie radici, al passato, per poi fare un movimento in avanti.

Lei come spiega che un alto numero di registi, tra cui molti giovani, under 35, abbia avuto questo occhio rivolto al passato?

Per questa fascia d’età è un periodo molto complicato, dominano la disoccupazione alta e la mancanza di veri  punti di riferimento. Si cerca un legame con le proprie radici per un confronto con il futuro. Forse è un’analisi che può essere applicata in modo trasversale a più ambiti artistici.

C’è una risposta per il presente?        

Credo che la risposta stia in un tentativo di consolidamento. Si vuole la stabilità per avere un punto da cui poter iniziare, un posizionamento in vista di un movimento successivo. Non un ripiegarsi né un partire alla ricerca di utopie irraggiungibili, ma piuttosto un bisogno di concretezza, di identità.

Si può parlare di tendenze comuni non solo a livello tematico, ma anche visivo?

C’è un forte aumento dei film di animazione. È un settore che permette grande libertà e possibilità, molti registi lavorano proprio su questo. In questo senso è significativa il lavoro di Cristina Diana Seresini, animatrice bravissima. La sua poetica dell’animazione espansa è un gioco di parole per raccontare un’immagine oltre la realtà. Leggermente al di fuori di Invideo si colloca poi Monica Manganelli, con un linguaggio più classico rispetto al nostro, che abbiamo voluto nel programma di quest’anno. È la candidata italiana all’Oscar per il film di animazione. Per questo ci sembrava interessante seguire il tipo di lavoro che ha portato avanti. Altro percorso è invece il footage, la rielaborazione di fotografie e di filmati d’epoca reso possibile dal computer. Mi viene in mente Black Track di Virgil Wildrich, un assemblaggio di venticinque film risalenti agli anni Cinquanta che il regista ha manipolato attraverso il 3D.

Quando la sperimentazione smette di essere percepita come tale?

Secondo me ci sono due movimenti di ricerca. Uno è quello che resta sempre lontano dal cinema, astratto ed estremo. Quello che conta è la tua visione del mondo e le immagini che crei. Nella produzione di Jacques Perconte questo si vede chiaramente. Esplora le molteplicità del digitale applicando algoritmi che modificano in modo irriconoscibile la natura, per raggiungere risultati non facilmente comprensibili. Un’altra tipologia di ricerca invece viene percepita e apprezzata dai percorsi più battuti dell’industria. Questa sperimentazione finisce per legarsi più strettamente alla realtà. Mi ricordo come negli anni Novanta a Invideo fosse usuale la presenza di pubblicitari alla ricerca di idee innovative da applicare al proprio lavoro.