NADIA E I SUOI FIGLI:<br> STORIA DI UNA RIVOLUZIONE

NADIA E I SUOI FIGLI:
STORIA DI UNA RIVOLUZIONE

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We've Never Been Kids dell'egiziano Mahmood Soliman vince ex aequo con Madame Courage il Concorso Lungometraggi Finestre sul Mondo. La vita di una famiglia filmata  per tredici anni tra povertà e oppressione nell'Egitto contemporaneo

 

Non siamo mai stati bambini. Poche parole bastano a restituire la storia di Khalil e dei suoi fratelli cresciuti nella miseria delle strade del Cairo. La mamma, Nadia, ha cercato proteggerli, di farli studiare lottando col padre violento, alcolista, che invece li ha tolti da scuola per mandarli a lavorare. Pochi spiccioli per ore e ore passate nelle cucine, a pulire i bar, a spezzarsi la schiena sui cantieri o a guidare i tuk tuk a 11 anni con la fierezza di non bere né drogarsi come fanno gli altri ragazzini  che finiscono per  ammazzare qualcuno… E anche a vendere droga nei negozi dello zio,  scappando di casa per trovare ospitalità da qualcuno che prova a sua volta a sfruttarli mentre il padre massacra la madre di botte, anche se sono separati, e continua a chiederle soldi, il prezzo infinito che deve pagare per il loro divorzio. Quando Mahmood Saliman ha iniziato a filmare Nadia e i suoi figli, era il 2003, la più piccola, amatissima dalla donna anche se nata dalla violenza dell'ex marito, non era ancora nata. Nadia aveva trent'anni, si era già sposata due volte, la prima ancora adolescente con un uomo molto più vecchio perché i genitori volevano liberarsi di lei. Quando si erano separati aveva cercato di studiare, di farsi un'istruzione, il suo desiderio più grande, che spera per i suoi figli, e ogni volta che il marito li toglie da scuola per mandarli a lavorare (e pagarsi la vita) per lei è un dolore terribile.

Dal secondo marito Nadia ha imparato a arrotare i coltelli, con quello guadagna quel poco che le serve a campare. Le strade in cui si muovono, mangiano, lavorano, parlano con gli altri somigliano a quelle dei film di Chahine, l'Egitto poverissimo e  oppresso, calpestato da anni di un regime corrotto e opprimente. Il tempo passa davanti alla macchina da presa di Saliman, la madre dei ragazzi dà voce alle loro tristezze, ansie, a quella insopportabile fatica quotidiana che sembra non condurli da nessuna parte. Alzarsi, ore e ore di lavoro, pochissimi soldi, il padre che esige la sua parte. La ragazzina lo detesta, è felice che i suoi si siano separati e di vivere con la madre. Da grande vuole mettere il velo ma sulle unghie lo smalto le impedisce di pregare.

Intanto però qualcosa succede, l'Egitto scende in piazza e Nadia e i suoi figli, come una Madre Coraggio, anche. Sono a Piazza Tahrir, tra gli assalti della polizia, gioiscono quando Mubarak se ne va anche se Nadia sventola un cartello profetico: come lui ce ne sono altri mille.

Nelle loro vite però non cambia nulla, forse peggiora. Violenza, sopraffazione. Le elezioni, la vittoria dei fratelli musulmani, l'arrivo di Al Sisi.

 

Saliman, seguendo i suoi  protagonisti, filma  la storia dell'Egitto e lo fa mettendosi dalla parte di quella miseria diffusa, opprimente che appare come una grande costante, e mentre dialoga con questo quotidiano, che spinge a pensieri e atti estremi per la sopravvivenza, traccia del suo paese un ritratto lucido e profondo. Questa realtà, condannata a rimanere senza voce, ha la possibilità di parlare alla prima persona. Senza schematismi ideologici né giudizi affrettati,semplicemente la vita e le sue battaglie, una storia individuale che racconta un Paese.

 

We've Never Been Kids di Mahmood Soliman, dom 10 aprile, ore 14.30, Spazio Oberdan, preceduto dal cortometraggio Dry Hot Summers di Sherif Elbendary 

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