Terra di transito, Paolo Martino racconta il viaggio di Raheel. Noi abbiamo incontrato Siriani in transito, il progetto milanese di informazione e denuncia volto a diffondere le storie dei siriani che fuggono in Europa
Stasera all'Auditorium Demetrio Stratos sarà proiettato Terra di transito alla presenza del regista Paolo Martino, del protagonista Rahell Ali Mohammad e del portavoce di Amnesty International Riccardo Noury. Con una camera a mano, spesso in notturna, Martino segue Rahell, i suoi passi e i suoi pensieri. In viaggio dal Medio Oriente all’Europa, senza visti né passaporto, per ricongiungersi ai suoi familiari che da anni vivono in Svezia. Ma il Regolamento di Dublino (la normativa europea sulle domande di asilo e il riconoscimento dello status di rifugiato) non è dalla sua parte, e questa meta diventerà un miraggio.
Siriani in transito vuole raccontare queste storie sospese. Il progetto è nato nei centri di accoglienza per rifugiati di Milano, e ideato da tre mediatrici interculturali, Marta Mantegazza, Anna Pasotti e Alessandra Pezza. Insieme hanno organizzato una mostra fotografica che con scatti e testimonianze documenta l'odissea siriana attraverso l'Europa (foto di Anna Ruggieri). Una campagna di informazione itinerante rivolta anche alla scuole, sotto forma di lezioni-dibattito interattive. Abbiamo incontrato Marta e Anna per una chiacchierata a partire dal film.
Rahell, protagonistadi Terre di transito, non può raggiungere la famiglia in Svezia. Perché?
A.P: Per colpa del Regolamento di Dublino III. Secondo questa legge, il rifugiato deve fare domanda d'asilo nel primo paese europeo che riesce a raggiungere. Non ha libertà di scelta: se ad esempio arriva in Grecia deve fermarsi lì, a meno di proseguire il viaggio illegalmente. Rahell è stato fermato in Italia e qui dovrà restare.
M.M: A Milano, come a Roma e Catania, dopo le prime ondate di esuli dell'autunno 2013, le autorità hanno incominciato a lasciar transitare i siriani senza registrarli, nella speranza che partano al più presto. In poche parole consegniamo queste persone in mano ai trafficanti. Purtroppo non sembra possibile una riforma efficace (e giusta) del Regolamento. L'immigrazione in quasi tutti i Paesi europei è un argomento ottimo dal punto di vista politico elettivo, soprattutto se non trova soluzione.
Nel film e nella realtà l'obbiettivo è il Nord Europa. Cosa offre il sistema di accoglienza svedese rispetto a quello italiano?
A.P: La prima fase è uguale in tutta l'UE: il rifugiato sostiene due colloqui da cui dipende l'esito della domanda di asilo. Il processo dura dai 6 ai 12 mesi, un periodo durante il quale il richiedente non può lavorare. Mentre in Italia sei confinato nei dormitori e letteralmente abbandonato, in Svezia hai diritto a una sistemazione, di solito in condomini, e tutti i bambini sono inseriti a scuola, nelle classi ponte. Quando ottieni asilo in Italia ti vengono versati 75 euro al mese, in Svezia oltre a ricevere il sussidio, sei obbligato a frequentare un corso di lingua e invitato a un corso di orientamento lavorativo.
M.M: A questo punto però dovremmo chiederci perché la Svezia accoglie i siriani... Si tratta di un'immigrazione selezionata. Chi può permettersi di raggiungere il nord d'Europa solitamente è benestante e appartiene alla classe istruita. Una forza lavoro competente, ma disposta anche a svolgere i mestieri più umili. Non siamo di fronte a una vocazione umanitaria.
È un problema di numeri: siamo inefficienti perché abbiamo troppe richieste d'asilo?
A.P: No. Dei siriani transitati in Italia, a maggio del 2014, solo lo 0,14% ha chiesto asilo. Si tratta di poche centinaia di persone, per lo più “costrette” a rilasciare le impronte. Mentre la Svezia ne ha accolte 53.570 e la Germania 59.530 (fonte ECRE, European Council on Refugees and Exiles).
M.M: Inoltre l'Unione europea ha stanziato dei fondi per l'accoglienza che sollevano le casse del singolo Stato dalla maggior parte dei costi dell'operazione.
A.P: Purtroppo in Italia ragioniamo ancora in chiave assistenziale. Non ci sono percorsi di inserimento a lungo termine che possano rendere il richiedente asilo parte integrante della società. Così non risolviamo l'emergenza, ammesso che si possa definire tale, e soprattutto compromettiamo l'integrazione. Rispetto al resto dell'Europa il nostro sistema è così indietro che invece di accogliere i rifugiati facciamo loro un torto.
Come impostate gli incontri nelle scuole?
M.M: Ci sono due tipi di lezione. Possiamo coinvolgere gli studenti in un dibattito sul tema oppure organizzare un gioco di ruolo in cui chiediamo ai ragazzi di ragionare come se stessero compiendo il viaggio dei siriani. In questo caso sono divisi in gruppi, ognuno dei quali ha un'identità, una cartina (di Siria, Nord Africa e Europa) e una somma di denaro. L'obbiettivo è quello di arrivare in Svezia, tappe e modalità di viaggio le decidono loro. Spesso raggiungono la Libia per attraversare il Mediterraneo in barca. A questo punto poniamo loro una domanda: «Andreste davvero in Italia via mare?». Risposta: «L'aereo costa troppo...». In realtà affidarsi a un trafficante è molto più caro di un volo internazionale, ma senza documenti è l'unica soluzione possibile. Quando i ragazzi realizzano questa, ed altre, assurdità, iniziano a ragionare.
A.P: Cerchiamo di far emergere tutti gli stereotipi senza dichiararli. Lasciamo fare agli studenti. In tanti ci chiedono: «Perché non diamo i visti?», «Perché non li aiutiamo?»...
La mostra di Siriani in transito è in esposizione a Bergamo al Festival culturale Domina Domna.
Terre di transito di Paolo Martino, mer 25, ore 21:00, Auditorium Demetrio Stratos