Annie St. Pierre viene dal Quebec, una regione del Canada, dove parlano un francese molto particolare con un leggero accento inglese. È a Milano per presentare il suo ultimo film documentario Fermières all’interno delle Giornate del cinema quebecchese in Italia in corso all’Istitut Français de la Culture
Fermières è il ritratto dell’Associazione delle Contadine del Quebec, che la settimana scorsa ha festeggiato il suo centenario. La sua particolarità è la sua composizione: non un solo uomo, ma un gruppo sterminato di donne che vivono in campagna e che da cento anni trasmettono il loro sapere alle generazioni. Abbiamo avuto l’opportunità di intervistare questa giovane regista, che nella sua filmografia conta diversi Making Of, ossia dei documentari sul lavoro che sta dietro a un film, e una coproduzione franco-belga, Migration Amoureuse. Ci ha raccontato della produzione di quest’ultima impresa, ci ha rivelato molti particolari della vita di queste donne e infine ci ha dato un suo parere sulla situazione presente della donna nel lavoro e nel mondo.
Vorrei iniziare da una domanda più generale. Perché hai scelto questo soggetto, l’Associazione delle Contadine?
Mia nonna faceva parte dell’associazione e quando me ne parlava, avevo sempre l’impressione che fosse qualcosa di molto misterioso. Tutti sanno che quest’associazione esiste, ma in realtà nessuno la conosce. La curiosità di scoprire la sua realtà divisa in circa seicento circoli mi ha spinto a filmare per cinque anni le attività delle donne che la compongono.
Come ti sei mossa nella fase di pre-produzione?
Il lavoro completo è durato molto perché volevo che il film seguisse la tradizione del Cinéma Direct. Questo genere ha un lato finzionale, perché costruito su degli archi drammatici che devono far emergere i personaggi con i loro caratteri. Io volevo andare oltre, entrando nel quotidiano, cosa che nel cinema può sembrare banale. Per questo motivo avevo bisogno di personaggi differenti tra loro e dall’animo forte. Poi ho cercato la maniera di filmare le piccole cose del loro quotidiano per farle diventare importanti allo spettatore, una sorta di eroi.
La domanda successiva riguardava proprio la scelta dei personaggi. Perché quelle quattro donne?
Sono la sintesi della figura della «Fermière» e rappresentano i concetti principi che guidano l’Associazione. Mme Garon è la Trasmissione che rende necessaria la sua esistenza ora e nel futuro; Mme Lacroix che vuole fare tutti i concorsi è il Bisogno di conoscenza; la Storia, ossia Mme Poulin sempre alla ricerca d'informazioni sull'Associazione. Infine vi è la Tradizione, la presidente Mme Labrie, una donna dal carattere molto forte tipico di quell’epoca, che mi ha aiutato nella comprensione del funzionamento dell’Associazione.
La colonna sonora dà molto carattere al film. Da italiana ho subito riconosciuto il pezzo di Giuseppe Verdi, l’Aria di Gilda. Perché una musica così particolare?
Per la scelta della colonna sonora, ho fatto un grosso lavoro di contrasto con il mondo, dove loro vivono. Il mio obiettivo era di trasmettere la gioia che queste donne mettono nel loro lavoro e la musica d'Opera era la via più diretta. Inizialmente non conoscevo questo genere, che ho cominciato ad ascoltare durante la produzione del film per riuscire ad entrare in profondità nella loro vita e nelle loro case.
La questione femminile. Il film mostra che l’affermazione come donna è passata attraverso l’uomo che ha fondato l’Associazione nel 1915, all’inizio contraria al diritto di voto per le donne. Che genere di affermazione era?
Sul diritto di voto, quella era la posizione ufficiale determinata dal Ministro dell’Agricoltura, un uomo, responsabile all’epoca dell’Associazione. In realtà c’era un numero impressionante di donne femministe e alcune erano pure militanti. Ma non erano le questioni sociali e politiche che interessavano all’Associazione, bensì l’accoglienza di tutte le donne senza alcuna distinzione. È stato fatto un lavoro di sostegno per le donne e per le famiglie povere attraverso la trasmissione di un sapere culturale e umano fondamentale. Ad esempio una volta al mese organizzavano degli incontri solo per le donne dove potevano parlare della propria situazione, chiedere consigli sulla crescita dei figli, imparare le tecniche per cucire vestiti e coperte. L’Associazione forniva tutti i mezzi per vivere senza difficoltà. E gli uomini non avevano accesso: era strettamente vietato parlassero o partecipassero alle attività. Nel film ho scelto di rappresentare con ironia l’uomo, nella totale passività: mentre guarda la televisione o aspetta la moglie.
Le esigenze delle donne sono diventate altre. L’affermazione nel mondo del lavoro, fuori dalla casa, è una delle lotte più importanti. Credi che l’Associazione avrà un futuro?
Capire se l’Associazione avrà un futuro è quello che mi ha spinto a fare questo film. Oggi non è più il luogo dove trovare condizioni di vita migliori. Queste sono altrove. Il compito di queste donne è la trasmissione alle generazioni del loro sapere, diventando, così, un organo di tutela del patrimonio umano. Per questo motivo, è necessario passare più tempo con le persone anziane, cosa che ormai non si fa più. Internet è diventato l’enciclopedia a cui chiedere tutto.
Da maggio, Milano sarà la capitale del mondo con l'Esposizione Universale (Expo 2015) che ha come tematica «Nutrire il Pianeta». Credi che questo evento sarà utile per capire la necessità di un’alimentazione nuova e sana?
Ero molto contenta quando mi è stato proposto di portare il mio film in Italia perché il tema di Expo è molto collegato a quello che dico del film. L’apporto delle Fermières è stato fondamentale. Sono loro che hanno inventato e hanno insegnato agli altri l’orticultura! Questo ha permesso al nostro paese di nutrirsi meglio. Ora si tratta piuttosto di nutrire lo spirito per capire più a fondo se stessi. Quello che ci offrono è un nutrimento spirituale e culturale.
L’affermazione di queste donne è stato in qualche modo silenzioso, si è mosso nei luoghi nascosti. Credi che è sufficiente per vincere le battaglie delle donne e per affermarsi finalmente?
No, non è sufficiente. L’essere umano ha bisogno di un evento forte e violento, una rivoluzione, per aprire una nuova epoca. Però non bisogna giudicare il lavoro delle Fermières: dal 1915 hanno permesso alla donna di conquistare posizioni sempre più importanti. La prossima generazione farà ancora altro.
Fermières è un atto di amore e di gratitudine verso queste donne che spendono la loro vita per il mantenimento di una cultura legata alle nostre origini. Che non bisogna dimenticare e sostituire con le macchine e il dio denaro.
Fermières di Annie St. Pierre, sab 21, ore 15:30, Istitut Français de la Culture