Più critici che lettori. Le pellicole spettacolari americane che, sole, seducono gli studenti. Ma autori degli anni '60 e '70 ancora da scoprire e università che si stanno risvegliando. Abbiamo fatto il punto con il giurato Giovanni Spagnoletti
Giovanni Spagnoletti si è avvicinato al cinema alla fine degli anni '60, in Germania. Ha seguito la genesi della Nouvelle Vague tedesca e intuito fin dal principio il potenziale innovativo del suo linguaggio. Nel 1977 ha realizzato al Festival di Monticelli Terme la prima retrospettiva dedicata a Wim Wenders (nalla foto un frame da L'amico americano). «In Italia, prima di allora, il regista era un perfetto sconosciuto» e lui a quei tempi era ancora un docente di letteratura tedesca. Oggi ha una cattedra in Storia e Critica del Cinema all'Università di Tor Vergata di Roma ed è stato dal 2000 direttore della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro. Spagnoletti guarda al cinema come a un magma in continua trasformazione, ma mai troppo lontano dal suo nucleo originale: «Lo spettacolo cinematografico non ha più quella attrattiva e la stessa importanza verso la società che aveva venti o trenta anni fa. Sono cambiati gli interessi, i modi di fruizione e le sfide. Ma non è detto che inseguire l'innovazione sia efficace. Si possono ancora riscoprire molti momenti nella storia del cinema. Ci sono autori degli anni '60 e '70 che per me sono scontati, ma per i miei alunni possono diventare dei modelli sorprendenti».
Da docente di letteratura tedesca a docente di storia e critica del cinema, che cosa l'ha portata a cambiare insegnamento?
È stato un passaggio naturale, il cinema mi ha coinvolto gradualmente, ma in modo irreversibile. Mi sono trovato a studiare in Germania durante il periodo in cui nasceva la “Nouvelle Vague” tedesca. Un movimento esploso all'interno del circuito internazionale dei festival, da Cannes a Venezia. Autori come Werner Herzog, Wim Wenders e Rainer Werner Fassbinder erano i giovani cineasti emergenti. Sono stato un cinefilo fin dai tempi della scuola, conoscevo la lingua e vivevo a Berlino. Immerso in questo clima di innovazione era inevitabile che cominciassi a occuparmi più di cinema che di letteratura, ma non mi sembra di aver cambiato ambito o di aver tradito una passione.
Durante la sua carriera di docente come sono cambiati i suoi alunni e il suo modo di insegnare?
Sono cambiati radicalmente. Gli studenti di oggi considerano solo il cinema spettacolare americano o quello italiano, se è in chiave autoriale o di genere. E l'insegnamento si è dovuto adeguare. Un docente deve trovare il giusto compromesso tra gli argomenti che conosce e quello che può interessare agli studenti. D'altronde non si può rivolgere a se stesso o a tre persone, cedere all'egotismo e raggiungere solo un numero ristretto di alunni. I ragazzi non vanno volentieri al cinema, si connettono online e cercano nella rete tutti i contenuti. Le lezioni devono essere interessanti dal punto di vista pratico più che teorico.
L'Università italiana risponde a questa domanda?
Tutto dipende dalle strutture e dalla loro flessibilità. Il livello dell'offerta formativa e degli studenti è calato, ci sono ragazzi molto bravi e promettenti, ma spesso fuggono all'estero. In Italia c'è poco lavoro in ambito cinematografico, mancano le occasioni. Per esempio nell'ambito della critica, sono più quelli che scrivono di cinema dei lettori. C'è un ipertrofia di materiali che non corrisponde al reale approfondimento teorico degli argomenti. In definitiva l'Università non è in sintonia con lo sviluppo della società, soprattutto a confronto con un medium come il cinema. Ci sono eccezioni, come il DAMS di Bologna, l'ambiente Torinese e Milano, che sembra risvegliarsi dopo anni di silenzio nell'ambito nazionale. Merito della bravura di alcuni docenti.
In Italia il panorama distributivo è fermo e molti film sono tagliati fuori dal mercato. I festival assumono quindi un ruolo fondamentale. Da direttore di festival ci racconta i suoi criteri di selezione?
Non bisogna terrorizzare lo spettatore curioso o incuriosito, ma fare in modo che si avvicini anche a opere che non conosce o non considera. Un lavoro simile a quello che faccio per i miei alunni, però senza un aspetto didattico preciso. I festival devono essere interessanti e piacevoli, non possono solo mettere lo spettatore alla prova. La curiosità ormai è una dote poco frequentata. Non basta proporre film innovativi, bisogna creare un evento. La sfida è trovare il modo di coinvolgere un'ampia gamma di pubblico tenendo fede al proprio percorso e alle proprie aspettative.
Come vede il futuro della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro?
Preferisco non rispondere alla domanda. Il futuro della Mostra è nelle mani di chi arriverà dopo di me.
Quali sono stati i momenti più significativi della sua direzione?
Sono contento di aver contribuito alla scoperta del cinema israeliano e messicano, di aver dato spazio alle nuove produzioni coreane e continuato il mio lavoro sulla Germania. Non voglio soffermarmi sui singoli autori, tutti conosciamo i nomi importanti. Sono orgoglioso di aver portato avanti un'idea prospettica e non chiusa in se stessa e in una certa misura penso di aver contribuito a portare questo Paese oltre la monocultura del film americano. Ricordo con soddisfazione anche tante rassegne e tutti i libri di accompagnamento che abbiamo realizzato. È importante far vedere i film, ma anche analizzarli e lasciarne una traccia sensibile.
Che cosa distingue Filmmaker dagli altri festival italiani?
È un luogo di ricerca e di contenuti validi. Oggi è difficile scoprire nuovi talenti, i film buoni sono pochi e li vorrebbero in tanti. La concorrenza è la metastasi dei festival. Qui ci sono ancora amici e colleghi che fanno un ottimo lavoro, poche manifestazioni sono portate avanti con la stessa passione. Si tratta di amare quello che si mostra e insieme di definire un progetto, curare la singola edizione e, anno dopo anno, costruire un percorso. Non sempre condividiamo gli stessi gusti, ma la bellezza del cinema è anche questo, nessuno ha la pietra filosofale per sapere cosa funziona e cosa no.