MAGMA GENNA

MAGMA GENNA
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Telefonata con Giuseppe Genna, scrittore milanese che con Salette Ramalho e Yann Gonzalez, sceglierà il miglior lungometraggio in concorso.

 

Dopo pochi secondi che ero al telefono con lui mi aveva detto che: non dovevo credere a quello che scrive sul blog (ovvero che si batterà per difendere «Il film che ritengo un capolavoro») e che avrei dovuto leggere Guy Debord perché “nel mondo realmente rovesciato il vero è un momento del falso». Superata questa impasse iniziale abbiamo abbassato i toni e iniziato a parlare della sua esperienza da giurato al MFF.

«È la terza volta che faccio parte di una giuria, dopo Filmmaker e Orizzonti, ma il MFF è particolare. Mentre la Mostra del cinema soggiace a dinamiche di potere sia politiche sia economiche, il MFF è un gioco libero da condizionamenti».

Genna ha solo parole di elogio verso il festival milanese che secondo lui ha avuto un miglioramento rilevante a partire dal 2012: «C’è stata un’estensione del vissuto in quantità che è stata un vero e proprio salto qualitativo” e continua «lasciando perdere le cazzate della Scala, è l’evento culturale più innovativo di Milano. Nel gelo culturale dovuto alle mancanze politiche, che non sono state colmate dalla giunta di sinistra, e alla riduzione dei fondi, il MFF si erge incontrastato sulla scena cittadina. Ho seguito anche i film delle altre sezioni e li ho trovati tutti di alto livello».

Riguardo alla scelta del vincitore, non potendosi sbilanciare sulle sue preferenze, indica almeno la linea guida: «Non scelgo di certo in base ai miei gusti personali, cerco di intercettare la necessità. La stringente necessità per cui un’opera è un’opera. Ci sono artisti che hanno una poetica nomadica, invece io apprezzo la poetica intesa come ossessione estetica che produce arte. È come un elemento radioattivo che si incarna in luci, suoni e immagini, una materia scura».

Nonostante la forza delle sue argomentazoni, è disposto al confronto: «Sarò morbido, non voglio imporre nulla, ho conosciuto i miei due colleghi giurati ed entrambi sono molto preparati e profondi. La vita della giuria dà vita a un cervello collettivo, il dialogo è il momento in cui l'io viene trasceso».

 

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