IL PRIMO FESTIVAL <br>NON SI SCORDA MAI

IL PRIMO FESTIVAL
NON SI SCORDA MAI

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Il mio primo incontro con Filmmaker risale al 1982. Il festival era alla seconda edizione e le proiezioni si tenevano al Piccolo Eden di Largo Cairoli che ha poi chiuso alla fine degli anni Ottanta. La vocazione a mostrare e sostenere il cinema documentario ancora non c’era, si proiettavano molti corti, qualche lungometraggio. Ricordo di aver visto il primo film di Carlo Mazzacurati, Vagabondi, e di aver incontrato per la prima volta altri filmmaker milanesi. Io, un bel po’ più giovane e timido di adesso, presentavo Drimage, un corto in 16mm b/n girato a New York, dove avevo vissuto e studiato cinema per un paio d’anni. Era la prima volta che proiettavo qualcosa di mio davanti a un pubblico, quel film fino a quel momento l’avevano visto solo gli amici o persone di famiglia. Non ricordo molto altro, tranne l’emozione: enorme. E un premio Gaumont alla distribuzione, che poi nessuno ha mai visto.

Dall’edizione successiva, se non sbaglio, il festival ha inaugurato la prassi di sostenere e finanziare i progetti. Il mio secondo mediometraggio, Giulia in ottobre, è stato co-prodotto da Filmmaker insieme ai lavori di Giancarlo Soldi, Kiko Stella, Tonino Curagi, Studio Azzurro... Gli anni Ottanta erano una specie di palude per il cinema italiano, mi sembrava un cinema trito e ritrito, molto poco stimolante, ancora prevalentemente doppiato; insieme a Luca Bigazzi trovavo rifugio solo in qualche film (Amelio o Bellocchio o Giuseppe Bertolucci), non ricordo altro che mi abbia lasciato qualcosa. Ci affascinavano la new wave americana, il cinema tedesco, un certo cinema francese, il nuovo cinema taiwanese… tutto quello che era a basso costo e di rottura. Ci dicevamo: «Se lo fanno loro, possiamo farlo anche noi». È così che abbiamo iniziato, ricordo gelide notti a girare per le strade di Milano, dentro e fuori da automobili, ore e ore di lavoro consecutive senza che mai l’entusiasmo per quello che stavamo facendo avesse un cedimento…

 

Credo di aver cominciato a capire che cos’erano i festival e che cos’era la mia professione proprio a Filmmaker. Non so a che punto la vocazione del festival si sia spostata sul documentario, a posteriori mi sembra un cambio molto giusto. Negli ultimi anni alcune delle cose più forti e stimolanti che ho visto venivano da lì, dal cinema del reale. Il cinema dei grandi numeri - i blockbuster americani realizzati per il grande pubblico che vuol farsi travolgere dagli effetti speciali - non smetterà di certo, ma se guardo al futuro immagino, anche solo tra dieci anni, delle piccole sale cittadine dove si continuerà a vedere un cinema diverso. Dove sarà sempre più difficile tracciare un confine netto tra documentario e finzione (e perché dovremmo farlo, poi?). Ed è proprio in quella zona indistinta che credo si troverà la possibilità di raccontare qualcosa di nuovo.

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