Buon compleanno Mina. Ritratto di un’icona che ha attraversato il nostro immaginario.
Il festival Sguardi Altrove la festeggia con il film di Marco Spagnoli, Donne nel mito - Mina
Un tuffo nel tempo, il gesto delle mani che si serrano a pugno o che disegnano immaginari cerchi nell'aria e gli abiti eleganti o quelli improbabili, indossati negli innumerevoli show con cui si concedeva, allora generosamente nei sessanta e primi settanta. Mina compie 75 anni – ma non diteglielo, cinque anni fa per i settanta aveva fatto intuire con un certo imbarazzo sulle colonne di Vanity Fair che omaggi e auguri le sembravano quasi delle esequie 'in vita'... Il segreto, se di segreto si tratta, di tanta longevità artistica è legato – sommato al talento della cantante cremonese, all'incredibile capacità di seguire sempre il suo istinto, senza accettare compromessi. Sbagliando anche all'occorrenza. Ma non bisogna cedere alla tentazione dell'inesauribile fabbrica virtuale di YouTube che ce la ripropone nelle sue camaleontiche trasformazioni dal 1958 – la sera che sbucò appena diciottenne da un juke box intonando Tintarella di luna davanti a un attonito Mike Bongiorno, fino alla magrissima signora bionda platino che a Milleluci sulle note di Non gioco più dava l'addio nel 1974 al piccolo schermo. Mina non è oggetto consegnato alle memorabilia del passato, è ancora oggi un simbolo di integrità artistica e – merce rara – coerenza. E la decisione di abbandonare l'attività live non esaurisce il suo percorso. Anzi, lo rafforza. Il 'buen ritiro' di Lugano, le mise sempre rigorosamente black (l'elogio del nero e della diversità lo ha cantato anche in coppia con Renato Zero...), i foulard intorno al collo, e i Ray ban a celare lo sguardo negli scatti rubati, negano la 'fisicità' e impongono l'ascolto. Di una voce e della sua musica.
Mina è altro, sin dal suo apparire, – lei insieme a Celentano e al gruppo di 'urlatori' cancellano in un battibaleno una scena musicale e un'immagine legata al passato, al belcanto fine a se stesso e alle rime stupidine che facevano sempre rima con cuore. Quella spilungona dagli occhi spiritati canta canzonette con lo spirito di una solista jazz, conosce a memoria il repertorio dei grandi americani – Sinatra, Bennett, Fitzgerald, Vaughan, infila sfilze di note e salta di ottave senza colpo ferire piombando nell'immaginario televisivo del sabato sera. E lo trasforma a sua immagine e somiglianza, esaltando la sua personalità con il supporto fondamentale dell'intelligenza di registi come Antonello Falqui e l'autorevolezza di autori, coreografi e compagni di viaggio del calibro di Lelio Luttazzi, Walter Chiari, Johnny Dorelli, Luciano Salce.
E si costruisce un repertorio infinito dove tutte le scelte sono sue, nel bene e nel male – un repertorio capace di sopravvivere all'usura del tempo. Fa anche cinema, tredici coloratissimi musicarelli, confessa lei stessa in tempi recenti...
La 'tigre' gioca, non si prende mai sul serio, in un'intervista con Mario Soldati, lei giovanissima e in pantaloni seduta acciambellata su una sedia confessa (bugiarda) di leggere soltanto Topolino, dando l'estro alla bacchettata finale di Soldati che le sussurra cinico: «se in questo paese si leggesse di più e si cantasse di meno, le cose andrebbero certamente meglio...». Ma bacchettate ben più pesanti le arrivano dalla Rai che la cancella per quasi due anni al palinsesto, l'Italia 'casa e chiesa' non può sopportare nel 1963 una giovane diva incinta di un uomo sposato...
Niente, lei va dritta per la sua strada, le donne la fermano, le scrivono a migliaia per dirle che appoggiano in pieno le sue decisioni. E in tv la devono richiamare a furor di popolo, sulle note della hit del momento Città vuota... Perché Mina fuori dagli schemi, ombretto, eye-liner, ciglia finte che dopo il boom economico sono entrate nelle case delle italiane, è inconsapevole proto-femminista. Insegna alle ragazze e alle signore l'arte della metamorfosi e quella forse più importante, di «avere coraggio». Anche nell'esagerare: capelli corti, lunghi, cotonati all'impossibile, e poi ciglia azzerate e scollature vertiginose. Chi osa a questo punto notare un naso non proprio perfetto e quel neo vistoso sulla guancia? Nei settanta si lancia sul palcoscenico del teatro lirico di Milano con un mini abito da lasciare di stucco ma nel 1978 alla Bussola per l'addio non esita - avvolta nei pizzi neri disegnati da Pia Rame – a esaltare le ora più giunoniche forme.
E poi va in scena l'altra Mina, quella che non vuole legarsi al passato, diffida delle tv commerciali e dei Cavalieri (Berlusconi le offre nel 1982 due miliardi per un'unica serata tv...). Un bel giorno dice basta, si lascia alle spalle le paillettes, Studio Uno, i vestiti scintillanti, gli show dal vivo, le terribili diete e se ne va. Decostruendo il passato ricco di immagini, sostituendo la presenza fisica con copertine di dischi che le stravolgono i connotati e negano a volte la bellezza. Complici Mauro Balletti e Gianni Ronco è apparsa calva, con barba o inglobando un proiettore al posto del volto in un omaggio ai Lumiere. Prestando il volto al fisico di un palestrato, sorridendo enigmatica a guisa di Monna Lisa. E quando decide di ricomparire lo fa alle sue condizioni in un documentario - nel 2001 - che la mostra al 'lavoro' negli studi di Lugano. Il senso di un'assenza che assenza non è: Mina è ora solo voce – come in fondo ha sempre ambito essere. Tanta, tantissima musica che lei continua a registrare indefessa – anche ora dove tutto è declinato al verbo del download digitale o dello streaming. Pop, jazz, lirica, classica, sacra, un'enciclopedia monumentale della canzone italiana e mondiale consegnata ai fan e a chi ha ancora (tanta) voglia di ascoltarla. Perché – così scriveva Totò di lei: «Quell'anima lunga che sembra un contrabbasso con tutte le corde a posto, recita poco e male, ride al momento sbagliato. Ma se si spengono le luci e lei comincia a cantare, da quella voce escono grandi palcoscenici, pianto e risate».
Donne nel mito: Mina di Marco Spagnoli, Evento Speciale, dom 22, ore 17:00, Spazio Oberdan