TUTTO IL MONDO IN UNA MACCHINA DA PRESA

TUTTO IL MONDO IN UNA MACCHINA DA PRESA
di

Protagonista dell'edizione 2014 di Invideo, Gérard Courant si racconta, trasforma la redazione in un soggetto dei suoi Cinématons, e a sua volta entra a farne parte

 

Incontriamo Gérard Courant nell'hotel dove alloggia. Siamo tutti impazienti di conoscere l'autore del film più lungo della storia, Cinématon, una serie infinita di «fototessere in movimento». Il cineasta francese si presenta in abito scuro e con la sua inseparabile telecamera. Quella che doveva essere un'intervista si è trasformata in un'occasione in più per il regista di continuare il suo progetto artistico.

Durante la nostra lunga chiacchierata in francese, veniamo presi in contropiede quando, chiedendogli chi avesse in mente per i prossimi ritratti, risponde «Potreste essere voi». La situazione si ribalta diventiamo noi l'oggetto del suo lavoro. Nulla in contrario, la nostra vena narcisistica ha prevalso e, votati alla causa del cinema sperimentale, diventiamo i ritratti Cinématon numero 2852, 2853 e 2854.

 

Quando è cominciata la sua passione per il cinema sperimentale?
Sono nato a Lyon, città natale dei fratelli Lumière, la mia passione, quindi, non poteva che essere il cinema in tutte le sue forme, non solo quello sperimentale. Da piccolo non lo conoscevo, ma mi interessavano quei film che davano nelle grandi sale: le commedie francesi, i polizieschi, il cinema americano, ma anche quello italiano. E poi John Ford, Fellini, Godard, Antonioni. Avevo ventitré anni quando mi sono trasferito a Parigi e ho scoperto il cinema sperimentale dei festival.

 

In effetti è stato definito come l’erede dei Lumière.
Per la brevità dei miei film, sì e come nelle loro prime opere anche il Cinématon è girato con l'ausilio di un a camera fissa e un treppiede. In questo modo sono stati fatti Repas de bébé, La sortie de l’usine, Enfants. Anch’io ho scelto di riprendere nel modo più semplice, con un piano fisso e una durata massima di 3 minuti e 25 sec che è quella di una cassetta super8. Dal 2006 non uso più la pellicola, ma ho conservato la stessa regola con cui ho iniziato nel 1978, senza modificare durata e sonoro.

 

Quando ha cominciato nel 1978, avevi idea di ciò che sarebbe diventato Cinématon?
Avevo un’idea di serialità, ma limitata a un film di ventiquattro ore. Le prime proiezioni sono state un successo e quindi ho deciso di non fermarmi e, grazie all'interesse del pubblico, ho continuato l’opera. Probabilmente se la reazione fosse stata diversa i Cinématons si sarebbero fermati a venti. Ora siamo a 2854 per la durata di 190 ore. Non è che un piccolo pezzo del mio lavoro, infatti ho realizzato altre serie come Couple, Cinéma, Portrait de groupe, De ma chambre d'hôtel. Nella raccolta Carnet Filmé, inoltre, colleziono filmati giornalieri che hanno raggiunto le 350 ore. Sommando tutto questo materiale si raggiungono le 660 ore. Anche stamattina, ad esempio, ho filmato la mia camera, la facciata dell’hotel e la visuale dalla finestra e questa stessa intervista, come vedete, andrà nel Carnet.

 

Non dev’essere semplice muoversi a casa sua con tutto questo materiale.
In effetti non lo è! La pellicola occupa un sacco di spazio…

 

Cos’ha ancora da dire il cinema sperimentale oggi?
Esiste ancora il cinema sperimentale? Non lo so. Ci sono registi che lavorano con la pellicola? Forse qualcuno. È troppo difficile da dire. Nel mondo ognuno gira con le proprie apparecchiature digitali, i telefonini, facendo, anche inconsapevolmente, lavori che si possono definire “sperimentali”. Ma se si vuole fare del vero cinema penso che sia obbligatorio conoscere i classici e la loro storia: Fellini, Bergman, Ford, solo per citarne alcuni. Allo stesso modo uno scrittore deve conoscere Dostoevskij , Dante e Shakespeare.

 

Qual è la cosa più originale che ha trovato in un volto?
É veramente difficile da dire perché ciascuno può avere un giudizio soggettivo. Dopo un Cinématon si trova chi dice «Wenders è stato straordinario» e di fianco uno spettatore commenta «A me ha deluso questa proiezione»: le reazioni sono differenti. Ho dei Cinématons che preferisco, ma lascio allo spettatore il proprio giudizio.

 

Si è mai innamorato in quei 3 minuti e 25?
Sì, ma non ha funzionato…

 

Lei vive per filmare o filma per vivere?
Tutto si mescola!

 

Ha qualche rimpianto?
Ne ho alcuni: Abel Gance prima di tutti. Nel 1980 aveva novantuno anni, e mi trovavo ad una sua premiazione per filmarlo. Parlò per un’ora e mezza, il suo carisma nel discorso, la sua vitalità vitalità furono così impressionanti che mi è dispiaciuto interrompere quel magico momento. Mi dispiace anche non aver filmato Jacques Tati, morto nel novembre del 1982, qualche giorno prima del nostro appuntamento.

 

Pensa che i nuovi media siano stati d'aiuto per la diffusione del suo lavoro?

Considerando che in molti Paesi non esistono sale cinematografiche anche per questioni politiche, come in Africa, e in Arabia Saudita, per me è una rivoluzione poter diffondere la mia opera universalmente. Ad esempio tramite YouTube, su cui ho caricato tutti i Cinématons e la maggior parte dei Carnet. I nuovi media hanno certamente portato una democratizzazione nella diffusione dell'arte.

 

 

Articoli recenti

Daily