BUIO A MEZZOGIORNO

BUIO A MEZZOGIORNO
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Cinema e musica sono due passioni forti in Iran, vissute con l'intensità e l'urgenza degli amori proibiti, degli amanti clandestini. La necessità del racconto, della testimonianza, si insinuano in ogni più piccola crepa nel muro della censura di regime, rivelando la capacità di resistenza e la vitalità di una scena cinematografica e artistica che ha fatto dell'impossibilità di essere esplicita il fondamento della propria forza e profondità.

Il cortometraggio di Jamileh Daroshafaei Cold Phobia - oggi in Sguardi (S)confinati - non affronta di petto la realtà sociale iraniana, eppure come non vedere nella paranoia del protagonista, nel suo sentirsi costantemente braccato e minacciato, la condizione dell'artista nel paese dell'Ayatollah Khamenei?

Non a caso il protagonista è un musicista, anzi, un compositore.

L'inizio ci ricorda le atmosfere e le ambientazioni iperrealiste degli ultimi film di Farhadi o di Nima Javidi: interni borghesi, lontani dagli stereotipi occidentali. Con il procedere della narrazione notiamo però qualcosa di perturbante nella storia del giovane compositore, conosciuto e apprezzato, che giorno dopo giorno rinuncia rabbiosamente alla propria arte. Chi o cosa gli impedisce di esprimersi? Persino il braccio ingessato che gli rende impossibile suonare l'amato oud (strumento a corde arabo, ndr), sembra un limite auto-imposto: lo vediamo togliersi la fasciatura e comporre, quando nessuno lo guarda.

Vende lo strumento («non ne esiste uno migliore», dice), rifiuta l'amore della sua allieva. Vorrebbe fuggire, ma non può. Non c'è possibilità di fuga, i tentativi di scappare da se stesso non possono che portarlo ad auto-imprigionarsi nella cella frigorifera nella quale il regime confina gli artisti e gli intellettuali indipendenti, ibernandone i pensieri e facendo, di un intero paese, una prigione.

In un ultimo, disperato, tentativo di sopravvivenza e sottomissione, arriva a bruciare la propria musica per combattere il gelo che lo attanaglia. Ma senza arte, senza espressione, non c'è vita. Lo ritroveranno infatti, assiderato, sebbene l'impianto di raffreddamento fosse rotto (come non ricordare la straziante confessione del desiderio di suicidio di Jafar Panhai, prigioniero nella propria casa e impossibilitato a dirigere film, nel capolavoro Pardé – Closed Curtain?) .

Eppure qualcosa si è salvato dal rogo. Delle note riemergono dalla cenere. Una mano femminile, ne ricopia le linee su uno spartito bianco. La narrazione continua.

 

 

*Attore e autore teatrale milanese, co-fondatore della Compagnia Òyes (Premio Giovani Realtà del Teatro 2010 e 2015). Nel 2011 è stato finalista del Premio Riccione – Tondelli con il testo Effetto Lucifero.

 

Vahemeye Sard (Cold Phobia) di Jamileh Daroshafaei, Sguardi (S)confinati, mar 22 marzo, ore 16.30, Spazio Oberdan 

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