Protagonista dell’omaggio di Sguardi Altrove, Costanza Quatriglio è al festival con una Masterclass e due film, Girotondo e Triangle, un dittico che lega due tragedie nel mondo del lavoro, a distanza di cento anni. Da New York a Barletta
Costanza Quatriglio sarà presente questa sera in sala per la proiezione di due sue opere: Triangle (Nastro d’Argento 2015) e Girotondo. Domenica 22 terrà la Masterclass Filmare l’invisibile, un dialogo sul potere che si nasconde dietro alle immagini. Le chiediamo di parlarci del suo ultimo film, Triangle, racconto di due drammi uniti nel tempo e nello spazio dalla presenza delle donne, un lavoro che porta dentro con molta emozione. L’incendio della Triangle nel 1911 uccise 150 lavoratrici, un secolo dopo altre vittime a Barletta, dopo il crollo di una fabbrica: la negazione dei diritti dei lavoratori.
Come si collegano due eventi lontani un secolo?
Sono partita dai materiali dell’incendio alla Triangle nel 1911, e vedendo le immagini di inizio secolo mi è venuto in mente che cento anni dopo si era verificato un fatto apparentemente speculare e ugualmente tragico a Barletta.
Siamo nella stessa situazione di un secolo fa?
È come se ci fosse stato un ritorno indietro dal punto di vista della consapevolezza dei propri diritti, nonostante il contesto sia radicalmente diverso. Se guardiamo alla New York del 1911 si vede un mondo che si apre, che dà la possibilità di cambiare le cose con il sindacato e le lotte operaie; oggi invece c’è il vuoto, è come se tutto il passato fosse imploso.
Anche in Girotondo è presente l’idea di ciclicità.
La cosa buffa è che il titolo provvisorio per Girotondo era Ricominciare, che è il concetto principale del finale di Triangle. Viene proposta una via di fuga dal dolore che sta nella forza d’animo di Mariella Fasanella, sopravvissuta, che si assume il peso del dramma da sola. Mentre in Girotondo abbiamo un ricominciare collettivo: la comunità colpita dal terremoto si sforza di riappropriarsi del territorio e della sua identità. Qui la gioia diventa atto politico inteso come senso profondo di cittadinanza. La ricostruzione non è vista solo come opera dello Stato, come un’occasione di speculazione con cui i poteri manipolano a loro vantaggio gli equilibri sociali, ma permette di condividere la felicità individuale.
Perché ci sia un cambiamento, è necessaria una tragedia?
Questo è quello che la storia dimostra. Improvvisamente oggi si comincia a parlare dei minori stranieri non accompagnati, ragazzini che da soli attraversano qualsiasi tragedia; ma è un fenomeno che risale almeno a dieci o quindici anni ormai, però nessuno ne sapeva nulla o ne parlava.
Il lavoratore viene sacrificato, da sempre.
Un film non fa tanti discorsi ma mostra. Pone sicuramente delle questioni, nel momento in cui si vedono persone sui grattacieli senza nessuna idea che si potesse lavorare in sicurezza. Il cinema deve mettere insieme le cose perché si produca senso.
In Triangle, come hai usato le immagini di repertorio e che legame hai con esse?
Ho lavorato sulle immagini in modo da salvaguardare due aspetti: la verticalità di New York con le sue altezze, e, attraverso la moltiplicazione degli elementi, la restituzione di quel senso di stupore negli occhi di chi sbarcava a New York dall’Europa nei primi anni del Novecento per cercare un nuovo inizio.
Ho stretto un forte legame con l’archivio: nel momento in cui trovo un’immagine e me ne innamoro, è come se l’avessi girata io, è come mi appartenesse. Quindi posso manipolarla, ed è nel riutilizzo che risiede la natura stessa dell’immagine. Nel momento in cui la produci, un’immagine non ti appartiene più. Oggi noi parliamo di archivi come di cose lontane, ma un giorno qualcuno userà i nostri film come materiale di repertorio.
Quando si dice archivio si ha la sensazione di una testimonianza «vera».
Può però variare. Per esempio, in Girotondo ho mantenuto e valorizzato il formato originale, e si ha la sensazione di vivere in diretta quell’esperienza. In Triangle le immagini d'archivio sono usate in un altro modo, diventando così documento del passato. In modo subliminale richiama la storia del cinema, quei cineasti che nei primi del Novecento filmavano situazioni di lavoro all’interno delle fabbriche stupendosi delle moltitudini. L’utilizzo dell’archivio è determinato anche da un gioco con il cinema, non è solo quello che racconta ma rimanda anche ad altro.
Si discuterà anche di questo nella Masterclass di domenica?
Si tratta di affrancare il documentario dal concetto di riproduzione della realtà, quindi non solo osservazione. Osservare resta comunque un livello metodologico valido, ma occorre andare oltre alla riproduzione, per cercare e trovare altre chiavi d’accesso al reale.
Girotondo e Triangle di Costanza Quatriglio, sab 21, ore 19:15, Spazio Oberdan
Masterclass Filmare l’invisibile, dom 22, ore 10-13/14-17, Fabbrica del Vapore
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