IL CINEMA RITROVATO

IL CINEMA RITROVATO
di

Con il documentario La Belle at the movies (oggi in concorso Extr’A) Cecilia Zoppelletto ha ricreato un percorso filologico su come la settima arte si sia gradualmente sgretolata nella realtà di Kinshasa

 

«Il cinema come arte di raccontare il mondo» è una delle prime frasi che aprono il film. Forse semplice, ma ricca di significato e riflessioni. Cecilia Zoppelletto con imparziale e ferma oggettività lascia ampio respiro ai racconti degli intervistati (tra cui i cineasti Balufu Bakupa-Kanyinda e Zeka Laplaine) testimoni di un passato vivo e di un presente difficile della cinematografia congolese.

 

Durante le proiezioni di spaghetti-western con Franco Nero, gli spettatori si entusiasmavano immedesimandosi nei cow-boy carichi di carisma. Alcuni, ancora oggi, continuano a farsi chiamare Django o Sceriffo, «perché all’epoca dovevi essere forte e coraggioso come quei cowboy trasposti sullo schermo» chiosa uno degli intervistati vestiti alla John Wayne. Non solo il western o il genere delle arti marziali (quello che ha consacrato Bruce Lee al pubblico mondiale) ebbe grande successo, ma anche l’esotico ebbe un forte consenso di pubblico: Tarzan, Zorro, Alì Babà, senza tralasciare il cinema che ha fatto la Storia, come quello di Kurosawa. Negli anni Sessanta c’era stato un grande interesse per le proiezioni cinematografiche. I congolesi cercavano di capire e carpire gli usi e i costumi degli altri popoli, particolarmente quelli europei e americani. Poi, a fine decennio, il regime di Mobutu si fece dittatura e il cinema subì un inarrestabile declino culturale. Tra gli anni Settanta e Novanta la maggior parte delle sale cinematografiche venne chiusa per lasciare spazio a gruppi di preghiera o a negozi di elettrodomestici. Le rivolte popolari si fecero sempre più numerose e la sicurezza per i cittadini era chiaramente più importante che frequentare drive-in con alti rischi di violenza. In  questo contesto anche il problema del radicalismo religioso (una sorta di Codice Hays molto più lapidario e categorico) che vietava ai giovani la visione di pellicole con protagonisti negativi e violenti, oltre a quelle pornografiche. Questo fondamentalismo vige tutt’ora attraverso le angoscianti parole di Albert Kankienza Mwana Mbo (presidente dell’Eglise de Réveil) più interessato ai finanziamenti ecclesiastici che al rispetto culturale. L’avvento delle televisioni private e l’azzeramento dei diritti d’autore sono stati il colpo di grazia per il definitivo declino della cinematografia congolese.

 

Attualmente, in tutta la Repubblica Democratica del Congo, non c’è traccia né di un’industria cinematografica né di possibili finanziamenti per la produzione. Forse, però, un tenue spiraglio è rimasto, grazie a una videoteca che si occupa di noleggiare videocassette (indistruttibili) e locandine (disegnate da giovani artisti) a piccole sale cinematografiche che sopravvivono nella capitale. Dice un simpatico negoziante: «A Kinshasa il cinema viene ignorato, ma esiste ancora!». Tutto ciò è molto confortante, nella speranza che possa tornare arte “di tutti” come avvenne nel 1987 con La vie est belle di Mweze Ngangura e Benoît Lamy, e finalmente si possa (ri)creare una politica autoriale nellacapitale.

 

Attraverso le immagini proposte, Zoppelletto è riuscita a scalfire la superficie di una realtà tragica, ma utile per riflettere sulle diverse difficoltà che da troppo tempo certi popoli continuano a subire e tollerare in silenzio.

«L’arte è la forma più alta della speranza» (Gerhard Richter).

 

La Belle at the movies di Cecilia Zoppelletto, sab 9 aprile, ore 17.00, Spazio Oberdan

Articoli recenti

Daily