EUROPA. ULTIMA FRONTIERA

EUROPA. ULTIMA FRONTIERA
di

Io sto con la sposa, presentato fuori concorso a Venezia e oggi al MFF, non è solo un film, ma un atto di disobbedienza civile. Dopo l terribili naufragi dell' ottobre 2013 in cui persero la vita centinaia di migranti, un gruppo di persone sente l'esigenza di prendere posizione sulla libera circolazione degli individui. Un progetto dal basso che ha unito 2617 soggetti e che testimonia quanta presa abbia l'argomento sulle coscienze.

 

Valeria Verdolini è una delle accompagnatrici degli sposi e degli invitati “irregolari” partiti da Milano il 14 novembre 2013 alla volta della Svezia, il Paese dove è più facile ottenere l'asilo politico. Un gesto di generosità compiuto aggirando la legge.

 

Come sei finita ad attraversare l'Europa in clandestinità?

Sono una ricercatrice in sociologia del diritto all'Università degli Studi di Milano e da tempo mi occupo delle persone sotto restrizione giuridica come i carcerati e i richiedenti asilo chiusi nei CIE. Marta Bellingreri era la mia coinquilina a Tunisi ai tempi delle mie ricerche sulle trasformazioni del Paese che seguirono la rivoluzione. È stata lei a coinvolgermi nella banda.

 

Da chi era formato il gruppo?

Era composto da 23 persone divise su quattro macchine e un furgone. Oltre ai tre registi Antonio Augugliaro, Gabriele Del Grande e Khaled Soliman Al Nassiry e ai cinque rifiugiati Mona, Ahmed, Manar, Alaa e Abdallah, c'erano anche quattro operatori, un fonico e alcuni amici attivisti, italiani e non.

A parte l'amicizia e la condivisione del progetto politico, un altro fattore determinante nella composizione del gruppo è stata la lingua. I ragazzi parlavano solo arabo ed era necessario comunicare con l'aiuto di interpreti. Non bisogna dimenticare la rete di amici che ci ha ospitati durante le varie tappe, rischiando di infrangere le leggi sull'immigrazione, che prevedono una serie di sanzioni anche severe per chi accoglie. Senza di loro sarebbe stato impossibile raggiungere la meta.

 

Qual è stato per te il momento peggiore e quale aneddoto ricordi con più piacere?

Prima di partire ero preoccupata perché avvertivo una distanza, due mondi separati. Percepivo che c'erano un “io” e un “loro”. Una distanza che si è dissolta durante il viaggio. In quei momenti, infatti, eravamo tutti migranti, tutte persone che stavano compiendo un viaggio assumendosi insieme la responsabilità dei rischi e la gioia delle attese. Loro si erano affidati a noi e l'unica cosa che potevamo fare era lasciar crollare tutte le barriere. Affrontare quei pregiudizi che così bene sappiamo vedere negli altri e che invece, nascosti, tutti portiamo dentro. Fin dal momento della partenza il mio unico obiettivo era esaudire il loro desiderio di libertà: arrivare in Svezia, il solo luogo in cui sarebbe stato possibile ottenere in tempi brevi e ragionevoli i documenti che non avevano.

L'istantanea che ricordo con più affetto è il superamento dell'ultima frontiera, quella danese. Era notte, ci stavamo dirigendo a Copenaghen. Ad un certo punto Abu Nawar si mette a cantare una canzone araba e prova ad insegnarcela. Allora io ricambio e gli propongo Via con me di Paolo Conte. Tutti iniziamo a cantare sul retro della macchina come se fossimo in vacanza.

 

Quale significato ha avuto per te il viaggio dal punto di vista emotivo e sociopolitico?

Quando son partita ero cosciente del fatto che tutto quello che sarebbe successo sarebbe stato comunque straordinario. Sia per una mia naturale vena romantica, sia per la formazione di sociologa e storica. Mi sono chiesta, ripensando alle grandi battaglie, alle lotte del passato, se sarei mai stata all'altezza della situazione. Tutti sentivamo l'esigenza di dire basta e di prendere una posizione chiara, che provasse ad andare oltre a quello che già avevamo provato a fare. Era necessario uno strappo in più rispetto alle tradizionali manifestazioni per i diritti o alle quotidiane pratiche di sportello e di denuncia. Non riuscivamo più a non agire di fronte alle centinaia di morti inghiottiti dal Mediterraneo.

Il nostro è stato quindi non solo un gesto simbolico, ma anche una riflessione che ha provato a ribaltare l'estetica della frontiera. Il viaggiare deve essere una libertà e non ci possono essere regolamentazioni come quella di Dublino che limitano un diritto fondamentale: l'asilo politico all'interno dell'Europa. Un giorno vorrei poter dire ai miei figli, se mai ne avrò, che non sono rimasta lì a guardare, non sono stata complice.

 

The Outsiders
Io sto con la sposa, sab. 13, ore 16, Teatro Strehler

Articoli recenti

Daily