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CINEMA DOLCE CASA
di Camilla Mirone

E’ rimasto folgorato dal cinema Underground americano negli anni ‘60 e da quel momento non ha mai smesso di riprendere. Sempre rigorosamente con pochi mezzi e rifiutando le grandi produzioni, per creare un cinema diretto e «esteso». Intervista telefonica a Tonino De Bernardi, cineasta indipendente, che con il suo ultimo film sarà al Torino Film Festival

Il Cinématon in cui è ritratto è stato il primo della serie scelta per Invideo. Sorride pacifico davanti alla cinepresa di Courant. La sua serenità probabilmente deriva dal fatto che da sempre fa quello che ama e ama quello che fa. Tonino De Bernardi è un cineasta indipendente, ma gli piace anche insegnare, scrivere e seguire la danza contemporanea. Lo intervisto telefonicamente e mi racconta di Courant, dell’ ultimo film e del suo sentirsi apolide.

Sei il Cinématon #1542 di Gérard Courant del 1992.

Ma è passata un’enormità di tempo! Ci siamo incontrati tramite Marco Melani, uno dei creatori insieme a Enrico Ghezzi di Fuori Orario e Blob. Io ho amato Courant. Dal punto di vista umano è eccezionale e di una simpatia fantastica, e poi lo ricordo perché avevo ammirato il suo modo di fare cinema soprattutto per la vitalità che trasmette e con cui lavora. Lo considero un grande del cinema.

Avete entrambi il «vizio» di filmare qualunque cosa.

La sua cifra di espressione mi piace: ha inventato un modo di vedere il mondo e lo ha portato avanti negli anni, in diversi luoghi e con vari personaggi. La trovo una cosa sorprendente e affascinante. Ora è un modo riconoscibile e riconosciuto.

In fondo ognuno di noi si accosta al mondo ripetendo le sue modalità, concretizzando il suo approccio alla vita. Lui lo fa specchiandosi negli altri.

Voglio riprendere tutto quello che vedo, ultimamente ho pensato di fare un film sulla danza. All’inizio degli anni ‘80, è arrivata qui a Torino una ballerina e non si sapeva nulla di lei e io ne rimasi stregato. Era Pina Bausch. Ora seguo la danza francese contemporanea, in particolare quella di Alain Platel (Coup Fatal).Ho avuto emozioni dalla danza che non mi ha dato il cinema. Mi sono chiesto se avrei dovuto occuparmi di danza anzichè di cinema. Ma del resto con il cinema si può osservare qualunque cosa. In fondo è per quello che faccio cinema.

Parlaci del film che presenterai fra poco al festival di Torino.

È un film che amo molto. Il titolo è Jour et nuit. Delle donne e degli uomini perduti e parla della prostituzione femminile. Quando ero piccolo si usava spesso l’espressione «donne perdute», io ho aggiunto anche gli uomini a questa categoria. Come sempre ho raccontato cose che mi interessano e che ricerco nelle storie degli altri. Da anni seguo una Onlus di Torino che si chiama Tampep, che organizza delle unità di strada di sostegno alle prostitute. Ho ripreso quella realtà. Nel film c’è anche un po’ di Grecia, paese che è considerato perduto. Invece sono stato lì e mi sono reso conto che non è solo il paese del collasso economico. Io vado spesso in Grecia e in Portogallo. Sono i miei paesi adottivi. Ho più conoscenze in ambito cinematografico all’estero che in Italia. Viaggio spesso perché sono un po’ spaesato, non mi sento tanto italiano.

Da sempre?

Sempre di più, ma mi sono sempre definito cittadino del mondo, non credo alla delimitazioni geografiche, solo per accidente si nasce in un posto. Succede anche che molti miei coetanei sono morti, io invece sono qui e vorrei continuare, voglio essere come il regista portoghese Manuel De Oliveira che ha centosei anni e continua a fare film. Gli anni ‘60 dell’ Underground sono stati anni fertili e liberi. Ci illudevamo di cambiare il mondo. Vivo ancora in quella dimensione perciò non mi sento a mio agio in Italia. Non seguo nemeno molto il cinema italiano di oggi.

Perché hai iniziato a fare cinema?

Ho scoperto il cinema da piccolo. Quello quello degli attori, perché non sapevo esistessero i registi e già mi appassionava. L’underground americano è stato un detonatore: sono rimasto folgorato dall’idea che si possa fare cinema con una semplice cinepresa in mano senza tutto l’apparato delle produzioni. Io credo fortemente in questa modalità. La cifra fondamentale di questo modo è il fatto che si possa essere diretti. È vero che può essere danneggiata la qualità, ma a me non interessa. Quando qualcuno ha l’esigenza di creare, raccontare e si impegna è meraviglioso, non serve molto altro. Credo sia fondamentale fare un cinema che si estende agli altri, ma non nel senso della commercializzazione dei film di oggi. Per me è estensione il fatto che il cinema mi abbia regalato degli amici. Il cinema di solito pretende che gli venga restituito tutto quello che ha investito. Io non spendo e non voglio tanto, ma voglio totalmente.