GIRARE IL MONDO

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Il MFF omaggia Nicolas Steiner dedicandogli un focus. Nella nostra intervista il giovane regista svizzero racconta l’ultimo film e la sua visione di cinema

 

«Essere filmmaker è una passione, richiede apertura mentale e rispetto verso chi riprendi.» afferma Steiner.

Nei suoi film infatti si fondono due elementi che lo rendono unico: la profonda umanità e l’originalità dello sguardo sulla realtà. Nato in Svizzera nel 1984, Nicolas Steiner ha realizzato cortometraggi, tra cui Sticky e It’s me. Helmut, che saranno proiettati nel focus, e due documentari difficili da dimenticare: Battle of Queens, la ripresa della tradizionale battaglia tra mucche fino all’ultimo filo d’erba, e Above and Below in Concorso Lungometraggi al MFF.

Come è nato Above and Below?

Mi trovavo a San Francisco per un programma di scambio e mi ero concentrato sullo studio dei luoghi dove la vita teoricamente è impossibile, come i deserti. Per Above and Below volevo sviluppare l’idea di “lasciare Marte per rientrare sulla Terra”. Normalmente noi pensiamo che sia meglio lasciare la Terra. Io, invece, volevo ricreare il viaggio al contrario perciò mi sono messo alla ricerca delle persone che lo desiderassero. Sapevo dell’esistenza di una Stazione di ricerca sul pianeta Marte con paesaggi meravigliosi!

 

In che modo sei arrivato ai sei personaggi?

Ho lavorato anche su un’altra idea, ossia “scavare nel sottosuolo”. Per le mie ricerche ero a Las Vegas, una città pazza che non è nelle mie corde. Passeggiando per le strade vedo uscire da un tombino un uomo in pigiama. La mia reazione è stata: fa parte di uno show?! Sono andato a indagare, letteralmente sotto-terra, e ho scoperto una vita. Così è stato per gli altri personaggi.

 

Avete incontrato delle difficoltà nelle riprese?

Tra tutte le mie esperienze è stata la più intensa per le condizioni in cui abbiamo girato. Anche filmare It’s Me. Helmut non è stato semplice: un cortometraggio girato con un budget di soli 10.000 dollari e una troupe di sette persone. Una pazzia per un progetto professionale! I problemi hanno riguardato le location perché giravamo senza permessi e il clima avverso.

 

Come ti sei approcciato alle sei persone che hai seguito?

Ho mantenuto sempre un atteggiamento di rispetto e di disponibilità nei loro confronti. Mi sentivo in sintonia con loro. Ho scoperto che il mio film ha cambiato la vita ad alcuni di loro e di questo sono molto felice. Ad esempio Rick e Cindy sono andati in una clinica di disintossicazione e ora vivono in Texas. Il complimento più bello l’ho ricevuto da loro: una volta sono andato a trovarli e mi hanno detto: «Tu hai ripreso la nostra essenza e ce l’hai restituita».

 

Hai voluto rompere l’immagine stereotipata del senzatetto.

Avevo chiesto a un mio professore alcuni consigli su come rappresentare chi vive in strada. Secondo lui, io dovevo inquadrare l’uomo mentre fumava sullo sfondo di una Las Vegas riconoscibile. Ho preferito mostrare che la droga è un solo e minimo aspetto della loro vita.

 

Non è l’unico luogo comune che hai sfidato: Above and Below presenta delle caratteristiche atipiche per un documentario.

Ho sostituito l’intervista tradizionale con semplici e lunghe conversazioni. I miei documentari sono guidati non solo da me, ma anche dai personaggi. Spesso sono loro che mi dicono cosa fare, dove andare... A differenza di molti documentari, abbiamo girato con una di quelle macchine da presa che pesano una ventina di kili, perdendo molti momenti della realtà. Inaccettabile per il documentarista classico.

 

Che rapporto hai con il pubblico?

Nei primi cinque minuti di Above and Below metto alla prova lo spettatore: può seguire il film ma deve attivare il suo cervello. Non mi piace costruire un film secondo un messaggio ben preciso che il pubblico deve accettare. A differenza di Battle of Queens dove al massimo si può fare una lettura socio-antropologica dell’evento, Above and Below pone molte domande.

 

Trovi dei punti in comune tra i tuoi film?

Nei miei film ci sono sempre la speranza e la bellezza dei paesaggi e della fotografia. Le storie che più mi appassionano sono quelle estreme, le prove di sopravvivenza. In Sticky and It’s me. Helmut così come in Above and Below vi è un punto di partenza che è surreale. Forse quello è il mio segreto.

 

Come hai scelto il mezzo cinematografico per raccontare le tue storie ed esprimere te stesso?

Quindici anni fa ho scoperto il cinema durante un’esperienza da attore per una piccola produzione e mi sono chiesto se non poteva essere la mia strada. Però non ho abbandonato le altre passioni: suono la batteria, amo la fotografia e il montaggio. Come regista ho potuto tenerle vive. Per fare un buon lavoro si deve interagire con ogni componente della troupe.

 

Nuovi progetti?

A volte ho paura a trovare nuovi soggetti, perché so che mi dovrò immergere in lunghi anni di ricerche (ride, nda)

 

Focus e Omaggio a Nicolas Steiner, alla presenza dell’autore, sab 19, ore 17, Spazio Oberdan

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