LA DANZA DELLA REALTÀ

LA DANZA DELLA REALTÀ
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Incontriamo Gaia Giani per parlare del suo film Solo - oggi in Concorso Prospettive -documentario unico e sperimentale che segue due grandi ballerini agé mentre provano uno spettacolo per il Théâtre de Chaillot di Parigi

 

La ballerina Françoise e il coreografo Dominique stanno provando in vista del loro spettacolo al Théâtre de Chaillot a Parigi. La regista li segue per due settimane, filmando l’instancabile ricerca degli artisti verso un puro movimento, lontano dalle costrizioni del balletto classico.

Gaia Giani riesce a cogliere i momenti più intimi della creazione. Le immagini raccontano lo sforzo e il continuo intrecciarsi fra l’evolversi della coreografia e quella del film, attraverso sequenze che si legano proprio come in un balletto. La coppia francese tenta ormai da cinquant'anni a innovare e portare la danza là dove abitualmente non arriva. 

È un freddo pomeriggio d’autunno e incontriamo Gaia fuori da un vecchio bar in Porta Venezia.

 

Come hai conosciuto la coppia Françoise e Dominique Dupuy?

È stato un incontro abbastanza casuale. Una persona che conosco voleva intervistare Dominique in quanto danzatore di nicchia in Francia, dove studia da sempre il corpo, soprattutto in relazione con lo spazio. Ero stata quindi coinvolta con una sua allieva per questa semplice intervista. Una volta conosciuta anche la ballerina Françoise Dupuy ho deciso che avrei dovuto assolutamente fare qualcosa su di loro. 

Erano molto riservati e diffidenti. Con il tempo poi mi hanno accolto volentieri, la troupe era piccola (composta solo da due persone) ed eravamo molto discrete. Quando non mi hanno accettato la liberatoria del documentario finito, non ho capito la motivazione, visto che ormai mi avevano fato fare le riprese. 

 

All’inizio del film dici che per un malinteso tra te e la coppia, la prima versione di montaggio del film è rimasta in un cassetto per molto tempo. Quanto era diversa la versione originale da quella di Filmmaker festival?
Inizialmente il documentario doveva essere incluso in un dvd allegato a un libro che riguardava le opere della coppia e in particolare gli scritti di Dupuy. Gli artisti però pensavano che il video parlasse troppo di una sola opera e che quindi non fosse adatto allo scopo.
Ho quindi eliminato diverse cose della versione precedente, ad esempio pezzi d’intervista, di spettacolo e visioni di Parigi. Io e Ilaria Fraioli abbiamo creato una specie di bolla, una metafora sulla vita, sull’arte e sul lavoro di due persone che lavorano e vivono insieme.
 Inizialmente volevo essere molto più astratta, però Maresa Lippolis, che negli ultimi anni sta lavorando con me, mi ha aiutato consigliandomi di non essere così rigorosa. Prima volevo aprire il corto solo con il nero e il suono delle mani, poi mi è venuta l’idea della lettera, così l’ho inserita sul suono. È stata comunque una scelta molto naturale perché nei miei lavori c’è sempre un aspetto personale, in Solo è la lettera che leggiamo all’inizio quindi la nascita di mio figlio e la malattia di mia madre.

 

Com’è cambiato il tuo modo di lavorare negli anni?
Prima scrivevo spesso per i registi durante la preparazione al film. Con il tempo mi sono spinta verso una direzione artistica e astratta, cercando di fare collegamenti mentali e non espliciti. Nei miei lavori non c’è niente di scritto e anche nella fotografia ho un approccio documentaristico. Inoltre il mio passare da foto a video è sintomo di un’impossibilità di trovare completezza in un’unica forma, mi manca sempre qualcosa. L’interdisciplina mi interessa da sempre. 

 

Sono passati 5 anni dalle riprese di Solo. Come si sono evolute le sue scelte sul film?
Se avessi concluso il documentario 5 anni fa forse l’avrei fatto in forma più narrativa. Il tempo mi ha permesso di elaborarne una nuova versione e ha dato modo anche ai ballerini di apprezzarne la nuova forma.
Quando ho scritto il documentario non avevo ancora la loro liberatoria. Sono andata a Parigi proprio durante il tragico weekend appena trascorso, e lì ho incontrato la coppia che mi ha finalmente rilasciato la liberatoria, ringraziandomi. Si sono resi conto che nessuno aveva fatto un lavoro così intimo, così personale e lontano dal documentario tradizionale. Sono rimasti così commossi che mi hanno anche chiesto di poterlo inserire all’interno di una mostra a cui stanno lavorando sempre al Théatre de Chaillot a Parigi. Ricevere i loro complimenti è stato molto gratificante.

 

Nei volti dei protagonisti si legge l’esperienza degli anni e la continua voglia d’rinnovarsi. 

Sono affascinata da queste persone novantenni ancora così concentrate sul loro lavoro. È come se chiudessero un’epoca, sono dei dinosauri e rappresentano il ventesimo secolo. Anche nel progetto a cui sto lavorando con Maresa Lippolis, la protagonista è una ex insegnante di 90 anni che continua a lavorare ancora.  

 

Solo di Gaia Ciani verrà proiettato dopo Concerto Metafisico di Ilaria Pezone e Entrelazado di Riccardo Giacconi, Concorso Prospettive, giov 3 dicembre, ore 17.15, Spazio Oberdan, alla presenza degli autori

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