VERSO IL CIELO

VERSO IL CIELO
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Tra i titoli in concorso più attesi: L'infinita fabbrica del Duomo, documentario di Massimo D'Anolfi e Martina Parenti. Abbiamo incontrato i due registi, per riordinare le fila di una moltitudine di storie e leggende, confluite nel luogo simbolo di Milano

 

Il soggetto del film è chiaro già dal titolo: la (Veneranda) Fabbrica del Duomo, ente autonomo del mondo ecclesiastico, artefice della creazione del noto monumento e responsabile della sua conservazione. Per un soggetto così particolare e al tempo stesso così familiare ai milanesi, la coppia di registi adotta un linguaggio poetico e suggestivo, quasi fiabesco, trasportandoci, attraverso una lunga epopea umana, nel cerchio di immortalità di un monumento che non può mai essere definitivamente concluso. 

 

Com'è nata l'idea di fare un film su chi lavora – e ha lavorato – nella costruzione e il mantenimento del Duomo?

Il progetto è nato con la curiosa scoperta, otto anni fa, dell'esistenza della Veneranda Fabbrica del Duomo. Ci interessava il fatto che la cattedrale fosse costruita interamente in marmo di Candoglia, una sola montagna da cui è nato un intero monumento. Volevamo mostrare il viaggio che da una conchiglia porta a un'opera d'arte e il tentativo dell'uomo di farlo durare in eterno. 

 

Il Duomo non viene mai inquadrato nella sua totalità, è mostrato piuttosto attraverso scorci, dettagli. Perché?

Un monumento che attraversa tanti secoli non può avere un solo protagonista, sono troppe le mani che hanno lavorato a quest'opera così grande. Volevamo che niente potesse essere attribuito a qualcuno in particolare. Che tutto fosse frammento, moltitudine.
Il monumento, nella sua interezza, si erge visibile al centro della città, non era necessario restituirne un'immagine. L'idea era invece mostrare pezzi che potessero essere ricomposti in maniera differente. 

 

Il film inizia e si conclude in un'ambientazione particolare, il “cimitero delle statue” del Duomo. 

C'è un momento nella realizzazione di un film in cui esiti e non sei sicuro di andare nella direzione giusta. Quando abbiamo scoperto il cimitero delle statue ne abbiamo avuto immediata certezza. 

Le statue vengono ricostruite ex novo ogni volta (a causa dell'inquinamento hanno un ciclo di vita molto inferiore all'uomo), quelle rovinate vengono depositate al cimitero. È paradossalmente il luogo più vivo, racconta il tempo che passa.

 

Sembra ci sia una statua preferita tra le tante, inquadrata alla fine del film, mentre viene trasportata al cimitero. Che santo rappresenta?
È la statua di Sant’Eulalia che è, a nostro avviso, la protagonista. Il film è legato alla sua figura e a quella del San Cirillo che si vede all'inizio. Entrambe vanno a morire nel cimitero per restare una vicina all'altra. 

 

Accanto alla bellezza di queste immagini ne appare un'altra dissonante, una guardia che gioca a freccette… 

Rappresenta l'attesa, un uomo che passa la notte all'interno del Duomo. Ci interessava un'immagine assolutamente contraria rispetto all'enormità e alla bellezza del monumento.

 

L'infinita fabbrica del Duomo è il primo atto di una quadrilogia, Spira Mirabilis. Come proseguirà il progetto? 

La quadrilogia intende interrogarsi sul concetto di immortalità. L'idea ci è venuta in Giappone, dove abbiamo girato una prima parte il cui soggetto è una medusa. Abbiamo poi raccontato la storia di due musicisti-inventori in Svizzera, una piccola comunità di “Indiani d’America” in Dakota e infine una grande attrice francese del passato che tiene le fila di tutto. I racconti si legano ai “quattro elementi”: la terra per l'Italia, l'acqua per il Giappone, l'aria per la Svizzera e il fuoco per l'America.

 

Perché nei vostri film c’è sempre meno spazio per le parole? 

In un mondo così sovraffollato di parole volevamo restituire la genuinità delle immagini. Le parole introducono un filtro che penalizza il racconto visivo, impediscono di entrare davvero dentro il film. Noi invece vogliamo che le persone vi si perdano.

 

In questo caso avete utilizzato alcuni cartelli come intermezzo alle immagini.
Abbiamo fatto un esperimento riscrivendo i dati più interessanti trovati nell'archivio. Volevamo che i cartelli raccontassero quelle storie che le immagini, da sole, non erano in grado di restituire e riprodurre. Danno un senso più fiabesco all'insieme: c'era una volta l'olmo più antico d'Italia...

 

Oggi tutto sembra già visto, spesso non ci si rende conto nemmeno di quello che ci circonda. Come scegliete il soggetto per un vostro documentario? 

L'argomento che scegli per un documentario è sempre un pretesto per raccontare qualcosa d'altro ed è sempre necessario uno sguardo nuovo, fare domande diverse, qualcosa che nessuno si aspetta. In particolare abbiamo sempre fatto film sul nostro paese. Abbiamo realizzato un film sull'aeroporto di Malpensa (Il Castello) che è stato un pretesto per interrogarci sulla sicurezza, il limite tra chi esercita il potere e chi subisce i controlli, un altro ancora su un poligono militare in Sardegna (Materia Oscura). 

 

E ora il Duomo.

Esistono molti monumenti forse anche più belli del Duomo, edifici in uno stato di degrado con storie interessanti. Questa volta abbiamo deciso di parlare di un’opera che gli uomini continuano ad amare, l'hanno costruita e ancora se ne prendono cura. Abbiamo provato a interrogarci sulla storia e sulla sua “violenza”. Fare un monumento come il Duomo, estrarre la pietra dalla montagna, è un gesto brutale. Persino quando l'uomo si misura con la parte migliore di sé compie un gesto violento. L'atto stesso del filmare lo è. 

 

Alla fine prevale un sentimento umano, quasi un orgoglio di chi ha contribuito a costruirlo.

È l'orgoglio degli uomini nel partecipare, nella loro piccolezza, a progetti più grandi che sopravvivono al tempo e finiscono per appartenere un po’ a tutti. Siamo entrambi atei e per questo abbiamo tentato di lavorare sul monumento più che sulla cattedrale. Per noi non è importante la religione, ma il sentimento umano. Ci ha ispirato l'idea che una persona piccola possa costruire qualcosa di molto grande e bello. Questa ricerca della bellezza, di qualcosa di superiore, rende l'uomo certamente migliore.

 

L'infinita Fabbrica del Duomo di Massimo D'Anolfi e Martina Parenti, Concorso internazionale, dom 29 novembre, ore 19.00, Spazio Oberdan

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