IL CINEMA RENDE VISIBILE CIÒ CHE NON LO È

IL CINEMA RENDE VISIBILE CIÒ CHE NON LO È
di

A poche ore dall’attesissima masterclass di oggi, Abderrahmane Sissako - presidente di giuria e amico di FCAAAL - racconta al nostro daily il successo di Timbuktu e l’importanza delle immagini

 

«In realtà il male dell'Africa è soprattutto il male del resto del mondo» ci racconta Abderrahmane Sissako. «Intendo dire che il mio Paese non è solo guerra, carestia, immigrazione e ora anche Jihad. Per un regista ogni film è una missione, per questo motivo mi sento in qualche modo responsabile nel mostrare anche i lati migliori del mio paese, i suoi luoghi splendidi: la bellezza è la speranza. E di bellezza in Africa ce n’è ovunque, basta cercarla.». 

Dopo i successi internazionali del suo ultimo film, Timbuktu, e a pochi giorni da Cannes dove presiederà la giuria di Cinéfondation - per selezionare il migliore cortometraggio - Sissako è tornato al FCAAAL milanese, il festival che lo ha scoperto nei primi anni Novanta proprio grazie al bellissimo corto Le jeu.

È al 25° FCAAAL come presidente di giuria Lungometraggi, ma anche per condurre l’attesa masterclass di oggi per il Milano Film Network.

Incontriamo il regista mauritano poco prima dell'appuntamento giornaliero dell'Ora del Tè, occasione per gli spettatori di incontrare e parlare con gli autori ospiti del Festival. Dopo la nostra intervista la “sala del tè” è già stracolma di persone.

 

Il suo ultimo film, Timbuktu, ha origine da un reale fatto di cronaca: un massacro avvenuto il 29 luglio 2012 nel nord del Mali. Quando e come è nata la volontà di raccontare quella città e la sua tragedia?

Ero a conoscenza di ciò che era avvenuto nel 2012 e quasi un anno dopo ho avuto una sorta di “folgorazione” che ha fatto nascere in me il desiderio di farne un film. Considero il luogo Timbuktu un simbolo dove religione, cultura e apertura mentale si fondono, ma purtroppo è anche una città presa in ostaggio e la mia volontà era quella di denunciare la situazione tragica senza mostrare tutto il carico di violenza che fa parte del quotidiano di quelle terre.

 

Tornando al discorso della “folgorazione” che fa scaturire e vivere il suo cinema, nei suoi film convivono liberamente un approccio documentaristico e la finzione. Come riesce ad unire questi due aspetti?

Questo connubio non nasce mai su basi aprioristiche e inoltre non ho bisogno di guardare troppo lontano per trovare la realtà delle piccole cose che mi colpiscono e che rendono universale il mio cinema. Non le cerco, semplicemente mi “arrivano” e credo di avere l'abilità di riconoscerle e afferrarle, come nel caso dei fatti di cronaca all'origine di Timbuktu. Occorre guardarsi attorno, osservare e mostrare ciò che si vede, avere una predisposizione all'imprevisto e fiducia nella capacità dell'altro di captare e di essere sulla stessa lunghezza d'onda.

 

L'immagine per lei ha più importanza sul racconto?

Di certo per me la forma è fondamentale, più del testo, più della drammaturgia stessa. Credo che il cinema sia stato e sarà sempre la forza dell'immagine. Il cinema ha la capacità di rendere visibile ciò che non lo è. Grazie a quest'attenzione per la forma cinematografica riesco a instaurare un dialogo semplice e immediato con lo spettatore al punto tale che alcuni dei miei più cari amici mi dicono spesso che, guardando i miei film, hanno la sensazione che non siano “girati”.

 

Robert Bresson diceva che «Si distingue il vero dalla sua efficacia e dalla sua forza.». Si riconosce e riconosce il suo cinema in queste parole? Quando un’immagine è “vera, efficace e potente” per lei?

Credo che quel che dice sia un gran bel complimento. Ma, allo stesso tempo, credo che le sue parole siano proprio più un complimento che una domanda (sorride, nda)! Comunque non credo sia il ruolo del regista quello di giudicare le proprie immagini e l’efficacia dei propri fotogrammi.

 

Si aspettava che Timbuktu si affermasse a livello mondiale dopo la presentazione in concorso a Cannes lo scorso anno?

Sapevo di aver realizzato un buon film, ma mi ha molto sorpreso il riconoscimento internazionale che il film ha avuto dopo Cannes. Sono stati mesi intensi e impegnativi e fra poco sarò libero di tornare a lavorare a un progetto che in origine era stato concepito prima di Timbuktu e che cercherà di instaurare un dialogo fra l'Africa e la Cina.

 

Tra poco sarà protagonista della Masterclass curata da Giuseppe Gariazzo. Cosa può aspettarsi il pubblico?

Solitamente non faccio mai previsioni quando devo parlare in pubblico e incontrare qualcuno. Di sicuro so che non ci sarà nulla di programmato, come dicevo prima credo nell'imprevisto folgorante che può arrivare da un momento all'altro. Saranno le conversazioni con chi parteciperà che creerà la giusta atmosfera per far nascere qualcosa di inaspettato!

 

Masterclass di Abdehrramane Sissako con il critico Giuseppe Gariazzo, sab 9, ore 11.00, Spazio Oberdan

(Prima dell'incontro, alle ore 10.00, verrà proiettato il film La vie sur terre).

Articoli recenti

Daily