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MY PRAIRIE HOME
MIGLIOR DOCUMENTARIO
di Benedetta Diamanti

Il film di Chelsea McMullan racconta la vita di Rae Spoon, cantante transgender canadese dal passato difficile, in un viaggio tra parole e musica

I sure wish I was a man.
I would never go to church again.

(Sunday Dress, Rae Spoon)

My prairie home di Chelsea McMullan vince il premio come miglior documentario. Un viaggio attraverso le praterie canadesi insieme a Rae Spoon, cantante indie folk transgender che vuole essere definita al plurale con il pronome “essi”, per evitare l’empasse della definizione di genere, che si presenta troppo spesso nella vita quotidiana, pure nei suoi aspetti più insignificanti, come scegliere “il genere” del bagno pubblico. Fin dalle prime sequenze, con l’inquadratura ribaltata, capiamo che sarà un viaggio particolare. Rae ripercorre le strade della memoria, i paesaggi familiari dell’infanzia, in cui però non c’è più una casa a cui tornare: figlia di un padre tiranno, che ha abusato di lei, e di una madre sottomessa, ha ricevuto un’educazione cristiana pentecostale severissima, su cui incombeva sempre la minaccia del fuoco infernale.

La scoperta dell’omosessualità, durante l’adolescenza, la costringe a tagliare in maniera radicale con una famiglia che non può accettarla. My prairie home è anche il titolo dell’album autobiografico che Spoon compone in occasione del film e che porta in tour in giro per il Canada: McMullan accompagna l’artista nei piccoli locali e nei motel spartani che diventano ambientazione ideale per il racconto, tra parole e musica, di una storia dolce-amara, un viaggio nell’anima, dalla forte tensione poetica, esaltata dai paesaggi puri e sconfinati dell’Alberta. Il film ha fatto il suo debutto al Vancouver International Film Festival nel 2013, per approdare poi sulla scena internazionale al Sundance Film Festival nel 2014.