RACE MATTERS

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Il Daily MFN incontra Mpumelelo Mcata, regista sudafricano di Black President, opera prima presentata all’interno del programma Designing Futures. Viaggio introspettivo nell’arte controversa dell’eclettico Kudzanai Chiurai. Il film segue in maniera documentaristica l’allestimento di State of Nation, ricostruzione utopica di Chiurai di un fantomatico stato rivoluzionario sudafricano

 

Non è la prima volta che il regista sudafricano Mpumelelo Mcata si trova in Italia. Oltre a essere regista è infatti anche chitarrista di una band estremamente innovativa, i BLK JKS, che si sono esibiti proprio a Milano lo scorso novembre. Black President è passato anche alla Berlinale lo scorso anno. Il film ripercorre e riprende il lavoro di Kudzanai Chiurai, tormentato e controverso artista che riflette sull’identità africana post-colonialista, sugli errori commessi dai governi contemporanei, ma anche sull’arte, sulla censura e sul potere rivoluzionario dell’immaginazione. Ne parliamo con il regista Mcata e con Anna Teeman, attrice e produttrice del film.

 

Il suo è un film politico che però parla anche dello stato dell’arte. Si possono separare arte e politica?

M: Credo che l’arte sia essa stessa politica. Ognuno dovrebbe essere consapevole il più possibile delle implicazioni politiche di ciò che facciamo o non facciamo. Puoi ferire facilmente le persone se non sei  sicuro di quello che trasmetti.

 

Come si costruisce un documentario su un’utopia?

M: Per quanto liberi nel riprendere Kudzanai, la sua storia davanti alla camera ha vincolato lo sviluppo di alcune idee. I prossimi progetti che intendo fare si muovono invece verso la finzione, in modo da essere totalmente libero.

A: È anche una questione di onestà. L’oggettività dei documentari è in fondo una gran balla, lo sguardo del regista è sempre soggettivo. Pretendere che l’artificio filmico non ci sia, quella è finzione.

 

Come vi siete accostati all’arte di Kudzanai Chiurai?

M: Ci siamo avvicinati all’artista senza un’idea precisa. Il film poi si è costruito da sé, è un esperimento, un documentario per confrontarci con la realtà. La narrazione tipica di un cinema occidentale non si accordava con la trasposizione della vita reale di Kudzi, le sue idee e i suoi sentimenti.

A: Kudzi riesce a convogliare l’idea di una generazione, ma al tempo stesso rimanendo un individuo dalla forte personalità che vive nel suo mondo di contraddizioni e problemi.

 

Sembra uscirne l’immagine di un artista isolato e pieno di ansie.

M: Solo ed esausto! Vivere a Johannesburg è come navigare su una navicella spaziale. Ognuno porta un elmetto di protezione, una sfera di vetro. Le persone riescono a vedersi ma senza contatto. Si vive in uno stato di permanente alienazione. L’unico modo perché si inizi a respirare “ossigeno” è incrociare il proprio percorso con quello degli altri.

 

Black President è un film politico “scomodo” che ha diviso le opinioni dei sudafricani.

M: Il film stimola le persone a porsi domande. Kudzi si interroga sulla leadership nera post-coloniale, argomento complesso perché i neri d’Africa, dopo la liberazione dal colonialismo e dalla supremazia bianca avrebbero dovuto incoraggiare il potere nero. Tuttavia, dopo i primi errori dei leader di colore, la popolazione non ha voluto muovere critiche per il timore di tornare al vecchio sistema coloniale. Il lavoro di Kudzi ha la forza critica di chiedersi cosa sia giusto o meno in questo mondo.

A: C’è chi gravita verso lo scomodo, l’ambiguo, e chi preferisce chiudere gli occhi e non guardare. Il cinema è lo spazio delle contraddizioni.

 

In che modo la politica ha influenzato la produzione del film?

M: Credo che le idee politiche espresse in un film debbano essere riflesse anche nella produzione e nello sviluppo: se la politica del tuo film è di sinistra, allora anche la produzione dovrebbe essere di sinistra. Io ho scelto di avere fiducia nella capacità e nell’onestà delle persone, nella loro voglia di avere più domande che risposte nella vita.

A: E infine è anche un discorso di vincoli, non dover rendere conto ad altri o chiedere troppi permessi per lavorare. Cerchiamo di allontanarci il più possibile da un sistema rigido con persone e  ruoli definiti. Abbiamo lasciato che la vita entrasse in ogni momento, scegliendo di non attenerci mai a una lezione, una formula, ma accogliere ciò che veniva.

 

Parafrasando il titolo polisemico di un saggio di Cornel West (Race Matters): quanto conta ancora la “razza” nel mondo?

M: Se non fai parte del sistema capitalista, che per lo più è bianco-etero-cristiano-patriarcale, caschi in una minoranza. Il sistema si regge ancora sulla norma che “bianco è giusto” e tutto il resto è “esotico”.

 

Quali sono le responsabilità dell’artista, ad esempio quelle di Kudzanai nella “performance” di State of Nation?

M: Sicuramente quando critichi la leadership nera nel momento in cui la popolazione sta ancora prendendo coscienza, crei una questione etica. Per conto di chi stai lavorando? Chi compra i tuoi lavori? Critichi l’Africa e la tua arte finisce a casa di Elton John? Un artista è come un politico, sa quello che fa, ed è disposto a patire per i suoi ideali.

 

La struttura del film è molto articolata, tale da chiedersi cosa sia reale e cosa inventato.

M: La vita stessa a volte è così. Ci si chiede cosa sia reale e cosa irreale, è un’esperienza ingannevole. Nel film, alcune cose che si credono vere sono fittizie, altre sono effettivamente accadute. Scrivere il film in fase di montaggio è stato come disegnare un Jackson Pollock con immagini e milioni di parole su una tela bianca.

 

Alle 12.30 il critico e selezionatore FCAAAL Giuseppe Gariazzo, mer 6 aprile, incontrerà il regista Mpumelelo Mcata all’Università Statale di Milano.

 

Black President di Mpumelelo Mcata, mer 6 aprile, ore 19.00, Spazio Oberdan

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