Marta Donzelli è con Gregorio Paonessa la fondatrice di Vivo Film, la casa di produzione romana che negli ultimi anni ha sostenuto il nostro cinema più indipendente, da Michelangelo Frammartino a Emma Dante. Il loro nuovo film, Vergine Giurata di Laura Bispuri, è in sala questi giorni. Una conversazione sul lavoro del produttore al femminile
Vivo Film è nata a Roma nel 2004 per iniziativa di Marta Donzelli e Gregorio Paonessa. L'obiettivo era di portare nelle sale cinematografiche documentari e film di finzione che altrimenti in Italia non avrebbero trovato spazio. La loro prima azione è stata quella di acquistare i diritti di distribuzione italiana del documentario I’m Alive di uno dei più grandi documentaristi danesi, Jørgen Leth.
In circa dieci anni hanno prodotto più di una trentina di film, lavorando con registi molto differenti e non solo di formazione strettamente cinematografica: Masbedo, Jean-Louis Comolli, Michelangelo Frammartino, Jennifer Fox, Chiara Malta, Pippo Mezzapesa, Emma Dante, Nelo Risi, Corso Salani, Daniele Vicari.
L'ultima fatica di Vivo Film è Vergine Giurata di Laura Bispuri, presentato in concorso alla Berlinale, protagonista Alba Rohrwacher, è un film che indaga la formazione dell'identità.
Quale è la vostra idea di cinema? Che cosa volete che il pubblico veda al cinema?
Siamo sempre alla ricerca di una linea editoriale coerente, non legata ai temi, bensì ai linguaggi. Siamo convinti che l'immagine in sé abbia un'enorme responsabilità nei riguardi della società e soprattutto oggi. Vogliamo portare un punto di vista che metta in discussione i preconcetti. In questo senso siamo sempre stati interessati a un cinema ai confini tra finzione e realtà e alle contaminazioni dell'una nell'altra. Per questo motivo abbiamo lavorato con registi che provengono da mondi differenti: ad esempio dal teatro come Emma Dante (Via Castellana Bandiera, presentato due anni fa a Venezia), dalle arti visive come I Masbedo (The Lack, a Venezia nel 2014) e dall'arte come Michelangelo Frammartino (Le Quattro Volte e il prossimo film). Insomma il filo conduttore dei nostri lavori è un'attenzione ai progetti che si avvicinano all'arte cinematografica con libertà.
Il vostro ultimo film racconta una storia violenta. Qual è stata l'urgenza di produrlo?
Vergine Giurata di Laura Bispuri è un film molto potente. Appena abbiamo letto la sceneggiatura, ce ne siamo innamorati perché da una vicenda estrema e locale sviluppa un discorso molto più ampio sull'identità e sul ruolo oggi delle donne. La pratica del Kanun prevede che per vivere in libertà la donna debba diventare una vergine giurata, ossia negare il proprio corpo, la propria sessualità e la propria identità: è una violazione dei diritti umani che ancora esiste nel cuore dell'Europa. Abbiamo visto l'urgenza di raccontare questa storia per far riflettere e per interrogarsi quanto ancora oggi i modelli estetici (e non) provenienti dall'esterno limitano la libertà del singolo. Alba Rohrwacher dice alla fine: "Qualcuno mi ha detto che forse non bisogna per forza essere qualcosa, ma bisogna sentirsi liberi di essere chi si è". Questo è il nucleo della riflessione nel film.
Donna produttrice, donna regista, donna nel cinema. C'è ancora difficoltà?
Non posso dire di aver incontrato degli ostacoli concreti che hanno impedito il mio percorso personale. Ci sono le difficoltà del mestiere del produttore che sceglie di lavorare su un certo tipo di opere, come noi. Credo che però gli ostacoli veri e propri siano altrove, in un dimensione più sotterranea. Per esempio nella ricezione del film: pensare che un lavoro che pone una domanda molto forte sull'identità possa mettere in discussione alcune figure maschili, lì è il problema. Certe volte si avverte una difficoltà di posizionamento del ruolo uomo/donna, rispetto anche all'arte, ma perché siamo in una società dove la totale simmetria d'opportunità non c'è ancora. Su questo c'è ancora molta strada da fare.
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