Abbiamo intervistato Ico Migliore, il Presidente dell'Hockey Milano Rossoblu. La sua squadra è l'orgoglio della città e oggi verrà premiata con l'Ambrogino d’Oro
Uno sport di coraggio, veloce, forte, etico.
In campo dodici guerrieri, dieci in movimento e due in porta. Dodici atleti armati di bastoni a forma di uncino e protetti da caschi, visiere e paradenti. Pattini affilati come rasoi che fendono il ghiaccio e incidono traiettorie precise. Un unico disco, piccolo e saettante, a volte quasi invisibile dagli spalti. Sbatte di bastone in bastone attraverso regole strette. Una disciplina dominata da tattica e tecnica, dove l'improvvisazione è solo il guizzo finale e la coordinazione essenziale. «L'hockey è uno spettacolo unico. Durante una partita non hai modo di distrarti fino all'ultimo secondo.». È uno sport cinematografico e adrenalinico, ma inspiegabilmente poco popolare. Precisa Migliore: «In Italia siamo monomaniacali. Esistono solo calcio, basket e Formula uno.». Oggi 7 dicembre al teatro Dal Verme di Milano la sua squadra sarà premiata con l'Ambrogino d'Oro, la massima espressione di riconoscenza che il sindaco consegna ai cittadini più meritevoli. Ennesima soddisfazione di una stagione strepitosa, che non ha ancora portato i Rossoblu in vetta alla classifica, ma ha già ottenuto una vittoria: la qualifica alle finali di campionato di Coppa Italia, la Final Four, che si terrà il 24 e il 25 gennaio a Milano. Era dal 2006 che l'ultimo atto di Coppa non tornava in città.
Dal cambio societario del 2008 alla vittoria di ieri sera contro Valpellice, cosa ha distinto l'Hockey Milano?
Abbiamo gli stessi colori dal 1924. Sono cambiati i nomi, gli scenari sportivi ed economici, ma non lo spirito. La nostra gestione è succeduta ai Vipers e rispetto a loro siamo partiti con un budget decisamente più basso. Fino a due anni fa eravamo in serie A2 e tornare tra le grandi è stato faticosissimo. Insieme a noi è nata anche la crisi e trovare sponsor e finanziamenti è diventato sempre più difficile. Abbiamo lottato e dopo l’incontro di ieri siamo arrivati a soli due punti dalla prima in classifica. Ora siamo un po’ stanchi, ma possiamo agganciarli.
Quali sono i vostri punti di forza?
Siamo una squadra di fatti più che di parole. Il nostro progetto punta sulle nuove leve e su un allenatore formidabile, Pat Curcio. Hockeista canadese in panchina dal 2006 dopo una carriera decennale nella Central League e nei migliori club internazionali. Oltre ai giocatori siamo supportati da uno staff tecnico eccezionale, una rete molto fitta di appassionati, alcuni sono professionisti, altri volontari. Medici, attrezzisti, magazzinieri, e tanti altri addetti ai lavori. E ovviamente abbiamo un grande pubblico, che non ci è mai mancato.
Ci parla dei vivai della squadra?
Metà dei giocatori è stata formata in casa. Copriamo il 60% del costo del bambino in campo, anche perché altrimenti in pochi potrebbero permettersi questo sport. Non possiamo farcela solo con i giovani, abbiamo anche campioni che arrivano da altre città. La soddisfazione è vedere che in tanti vogliono giocare con noi. Sentono la passione dei nostri colori, colori sociali che rappresentano una realtà radicata, fatta di atleti e di pubblico, di sportivi e di cittadini.
Perché l'Ambrogino d'Oro ai Rossoblu?
Non per le vittorie, o meglio non solo. Noi abbiamo vinto solo il campionato di A2, militiamo ora nel massimo campionato e chissà se lo vinceremo. Viene invece riconosciuto il valore del nostro progetto sportivo, sostenibile e giovane. Non abbiamo dietro il solito imprenditore miliardario o i grandi sponsor nazionali. Ci siamo solo noi, quaranta persone che credono in una maglia con passione.
Come è riuscito a portare la Final Four di Coppa Italia a Milano?
È incredibile. Al terzo anno di serie A ritorniamo tra le grandi. Uno dei momenti indimenticabili è stato la vittoria contro l'Asiago che ci ha condotto in finale. I nostri giovani ci mettono la faccia fino all'ultimo minuto. È stata la Federazione a chiederci di organizzare la Final Four, ha capito che Milano è “tornata”! Sarà anche un'occasione strategica e di maketing.
Si riferisce all'avvento di Expo 2015?
Sì, vorrei che si traducesse in visibilità per tante eccellenze sportive e per noi. Ci siamo e tutti devono saperlo, in Italia come all'estero. Parlo di Paesi come la Russia e la Svizzera che hanno una tradizione hockeistica solida. Per continuare a garantire l'esistenza dei Rossoblu ci servono fondi. Non si tratta di comprare il giocatore, ma di coprire i costi di impiantistica e di attrezzatura.
Cosa manca di più alla cultura sportiva del nostro paese?
Dobbiamo superare l'idea che lo sport sia un'attività accessoria. È formativa. Quando studiavo architettura all'Università nascondevo ai professori la mia passione per l'hockey. Temevo la considerassero una perdita di tempo. La mia prestazione nel lavoro nasce dalla passione e dalla disciplina sportiva. L'hockey insegna a lavorare insieme, ad affrontare la sofferenza e a lottare per i propri compagni. Tutte qualità spendibili nell'ambito professionale. Per vincere ci vuole serietà.
Cosa dovrebbe fare lo Stato per sostenere l'Hockey e i giovani atleti?
Il ghiaccio costa caro. L'affitto e il mantenimento delle strutture sono voci pesanti sul nostro bilancio e non a caso lavoriamo in un solo impianto. È penalizzante, potremmo crescere ancora se fossimo supportati. Anche i nostri professionisti giocano per passione, non “guadagnano”. Quello che mi sta più a cuore sono le nuove leve. Mi piacerebbe coltivare l'orticello della nostra gioventù, senza il quale lo sport morirebbe. L'hockey allena a controllare la coordinazione psico-motoria e sviluppa tutti i muscoli del corpo. Vorrei portarlo nelle scuole, ma per ora collaboro solo con istituti privati. Accedere alle scuole pubbliche se non si abbassano i costi è impossibile e questo non è giusto.
Il festival FICTS racconta lo sport attraverso il cinema. Esiste un film sportivo, documentario o fiction, a cui è rimasto legato?
Nell'immaginario collettivo, l'hockey è uno sport duro e violento, mentre in realtà ha il tasso di infortuni più basso fino ai sedici anni. Miracle di Gavin O'Connor è un film in cui rivedo il mio lavoro, i miei Rossoblu. È tratto da una storia vera, l'avventura di una squadra di Hockey composta solo da studenti universitari. Vinsero le Olimpiadi del 1980, contro una Russia imbattibile, grazie a un allenatore testardo e azzardato. Un grande esempio di sport e di bellezza etica.
Sull'hockey su ghiaccio il festival FICTS ha presentato:
Sparta - The Target with a Large S di Filip Slezàk, Documentary Team sport
Sull'hockey su prato FICTS proietterà:
How Great It Was di Ilja Willems, domenica 7 dicembre, ore 17.00, Sala Expo