GOD SAVE THE QUEENS

GOD SAVE THE QUEENS
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Il documentario In Jackson Heights, nuovo capolavoro di Frederick Wiseman, vince il primo premio a Filmmaker 35. È un’opera fiume e spiazzante sul quartiere periferico del Queens dove convivono culture, colori, razze

 

Cosa unisce un gruppo di omosessuali e una moschea? Una comunità ebraica ortodossa e una donna indiana che vorrebbe ottenere la cittadinanza per votare? È quello a cui cerca di rispondere Frederick Wiseman con il documentario In Jackson Heights – vincitore di Filmmaker 35 - una spiazzante e multiforme finestra sulla contemporaneità americana.

 

In Jackson Heights prende vita attraverso un flusso di immagini a tratti dissonanti, altre volte unite da un leitmotiv vivo e musicale, in un potente patchwork di molteplici etnie. 

Un intreccio tecnicamente impeccabile di inquadrature quasi sempre statiche, al limite del virtuosismo fotografico. L'occhio di Wiseman si mimetizza in quella che è la forza semplice e brutale della quotidianità, attraverso testimonianze forti e reali. 
La ricerca del regista si fa attenta, al limite del chirurgico, penetra tanto a fondo nel contesto da aderire completamente alla realtà narrata.
Jackson Heights, New York, è la comunità di neri, bianchi, portoricani e transgender. È un carnevale di lingue e soggetti bizzarri, di umane sofferenze e di accenti. Centosessantasette sono le lingue parlate, centottanta i minuti per raccontarlo.
È la favola dell'utopia multiculturale che madri stanche ripetono ai figli prima di addormentarsi, la libertà (di pensiero, religione e parola) che cerca chi per la prima volta arriva negli Stati Uniti.
Le esperienze di Jackson Heights sembrano intrecciarsi senza nessuna continuità, trama, né spartito, nessuna unità formale. Eppure le immagini e le persone inquadrate si fanno indelebili nella mente di chi guarda. In una sorta di eccentrica lettera d'amore, a tratti commovente, a tratti comica, che Wiseman dedica all'America. L'autore inquadra e cattura una formidabile Babele contemporanea. Una torre costruita su mattoni e sogni infranti o, quantomeno, sospesi.
 Un ritratto variegato di tradizioni, religioni, frammenti di vita ricuciti insieme con precisione. Una curiosa contemporaneità di pensiero per un regista che viaggia verso i novant'anni. 
Un affresco di ciò che l'uomo è in grado di ottenere, ma anche di perdere.
«L'America è un paese pieno di libertà, anche quella di essere maltrattato e derubato sul lavoro...» è una delle ultime, amare battute del film.

Esplodono fuochi d'artificio e il film/il giorno si chiude.

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