«Vent’anni fa un film come Pasolini di Abel Ferrara avrebbe tenuto banco in televisione, sui giornali, oggi invece passa nell’indifferenza generale». Per il critico Fillippo Mazzarella andare in sala non è più socialmente qualificante
Penna nota di Vivimilano, Linus, Segnocinema, tra le firme del Mereghetti, celebre dizionario dei film, esperto di fumetti e cinema d’animazione Filippo Mazzarella ha accettato volentieri di far parte della giuria del Concorso Internazionale di Filmmaker. Abbiamo chiacchierato con lui dello stato di salute della critica, del cinema, e di quello italiano in particolare.
Qual è il tuo rapporto con Filmmaker e col ruolo di giurato?
Filmmaker è un festival che amo molto e ogni anno mi rammarico di non poter partecipare come vorrei. Credo che sia l’unico festival degno di questo nome a Milano, la cosa che apprezzo di più è che faccia quasi solo esclusivamente ricerca. Anche Torino fa ricerca, ma poi c’è anche Woody Allen. Fare il giurato ai festival è diventato molto diverso dal passato, oggi si possono vedere i film in anteprima su internet e non c’è bisogno di andare nei luoghi fisici delle proiezioni. Questo ti permette di vedere i film comodamente da casa, ma così c’è poca interazione con le giurie.
Che ruolo ha oggi la critica cinematografica in Italia?
Non c’è più molto dialogo tra critica e pubblico, se una volta il pubblico si lasciava orientare dalla critica, oggi invece cerca soltanto la conferma di quello che pensa già. Non c’è più nessun critico che possa spostare le masse o convincere uno spettatore a non andare a vedere un film o farsi un’idea diversa da quella che già ha. In Italia c’è sempre meno carta stampata e una generale assenza di riviste specializzate. Tanti critici che vogliono scrivere, si sono riversati in rete, che però ospita di tutto ed è difficile trovare materiale veramente buono, perché tutti si sentono in diritto-dovere di avere uno spazio su cui dire la propria sul web.
Qual è secondo te il limite maggiore della critica online?
Credo che il problema maggiore, soprattutto in rete, sia quello di stabilire le misure. Non c’è nessun criterio che regoli la lunghezza di una recensione in rete. Mi è capitato di leggere pezzi di ventimila battute sui Puffi 2, quando 500 sarebbero state anche troppe. Non c’è il senso della misura, magari un blogger usa 5.000 battute per recensire Sils Maria di Olivier Assays e 10.000 per un film di Schwarzenegger: questo è profondamente sbagliato. Credo che sia importante allenarsi alla sintesi, perché è quello che poi viene richiesto nelle redazioni. Bastano anche solo 3.000 battute per dire tutto quello che si vuole e farlo in maniera interessante.
Perché gli italiani non vanno più al cinema?
Una volta andare al cinema era socialmente qualificante, fino a vent’anni fa un film come Pasolini di Abel Ferrara avrebbe tenuto banco in televisione, sui giornali, oggi invece passa nell’indifferenza generale. Oggi il cinema non scatena più dibattito, si è tornati alla fruizione del cinema delle origini, ossia si va a guardare un film per vedere qualcosa di strepitoso e roboante, è rimasta solo una nicchia di spettatori interessati a un altro tipo di cinema, che però non è sufficiente a fare incassi decenti.
Non potrebbe essere un problema di distribuzione?
Sicuramente c’è un problema nella distribuzione, ma poi nella realtà c’è un problema anche economico. Alcuni distributori investono su film, come ad esempio, di nuovo, Sils Maria e si ritrovano solo 50.000 euro di incasso, e tolto il guadagno degli esercenti, quello che ne ricavano è veramente poco e non copre i costi. Con la scomparsa delle monosale e con la concentrazione nei multiplex i film d’autore hanno meno possibilità di emergere. Ma c’è un vero e proprio disinteresse verso la proiezione cinematografica e sicuramente la possibilità di trovare tutto in rete incide.
Se penso a un pubblico giovane, non potrebbe essere anche il costo del biglietto un problema?
No, questo non lo accetto. Il cinema in proporzione costa ancora molto poco. Ai miei tempi ci volevano diecimila lire per andare al cinema, e facendo un rapporto più o meno ci siamo con i prezzi. Il problema è che sono cambiate le priorità. Il giovane di oggi sborsa tranquillamente 8 euro per una bevuta, ma si fa problemi a spenderli per il cinema.
Come vedi la situazione del cinema italiano oggi?
Il cinema italiano ha un problema. Il pubblico probabilmente si è un po’ stufato della commedia, a parte il fenomeno Checco Zalone con 50 milioni di incassi. Non si fa un cinema competitivo col cinema statunitense che riempie i multiplex, anche se all’estero e ai festival è apprezzato. La follia in Italia è che si protegge e incentiva la produzione di un certo cinema, ma poi non se ne cura e non se ne sostiene la distribuzione. Ogni anno si producono fino a 80 film, tra cui anche medie produzioni, con costi fino a 400.000 euro, ma si sa già che questi film non troveranno distributori e quindi non si rientrerà nei costi. Si dovrebbe invertire questa tendenza.
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