NEL NOME DI FATIMA

NEL NOME DI FATIMA
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Abbiamo avuto l’occasione di incontrare l’artista e regista Fatima Bianchi, che al Milano Film Festival – nella sezione Linea Gialla - ha presentato il cortometraggio Citysightdancing

 

Fatima Bianchi è una promettente artista e regista che riesce a conciliare in modo originale i linguaggi del cinema con le modalità espressive dell’arte contemporanea.  Nata artisticamente dalla scuola di Nutrimenti Celesti, workshop di Filmmaker, ha la capacità di scovare un punto di vista alternativo sulle immagini della quotidianità. In Citysightdancing adotta la prospettiva del turista che percorre Milano con i caratteristici bus rossi a due piani. Riprende la solitudine dello spettatore della città, che fruisce la metropoli in un viaggio guidato dalla voce in cuffia, come un rumore di fondo, che uniforma l’esperienza collettiva in una spettacolarizzazione asettica dello spazio urbano.  

 

Dal mondo dell’arte contemporanea sei passata al cinema…

 

Mi sono laureata in Exhibition Design perché volevo lavorare negli ambienti interattivi, dopo poco però ho capito che mi interessava di più il video. Uno dei primi che ho montato è stato realizzato con il materiale d’archivio di Muybridge, che riproduceva tutti i movimenti del corpo. Ho imparato così ad usare Final Cut. Ho sempre amato l’arte contemporanea e, forse, ho traslato nella video arte quello che avrei voluto fare come pittrice. 

 

Il tuo corto Citysightdancing è filmato dai bus a due piani che girano in città. Come hai avuto quest’idea?

 

City Sightseeing, a cui ho cambiato il nome, sono i bus utilizzati soprattutto dai turisti. Conosco bene Milano e non sentivo la necessità di riprendere gli esterni della città. M’interessava piuttosto filmare le persone e tutto ciò che era all’interno del bus. Il cortometraggio vuole essere una critica al modo in cui il turista recepisce la città. Nel bus se si è tutti seduti e si ascoltano le stesse cose, il punto di vista si uniforma: tutti si alzano nello stesso momento, guardano e fotografano le stesse cose. Questa esperienza diventa perciò uguale per tutti.

 

Tyndall è il tuo primo mediometraggio, presentato in anteprima al Filmmaker Festival, un documentario sulla tua famiglia.

 

Con Tyndall ho utilizzato per la prima volta il mezzo cinematografico. Sentivo l’urgenza e il desiderio di raccontare la storia mia e della mia famiglia. Coinvolgere i famigliari, avere già a disposizione una location, la casa dei miei genitori, dove sono cresciuta, logisticamente mi è sembrata la soluzione più facile. È stato anche un volersi riconoscere e ritornare agli affetti famigliari.

 

In futuro lavorerai sempre tra cinema e video arte?

 

Al momento ho due progetti in fase di sviluppo. Uno è un film sulla bellezza dell'immaginario di donne non vedenti, senza ancora un budget né produzione. L’altro progetto riguarda l’etimologia del mio nome, Fatima, tra cattolicesimo e islam.

www.fatimabianchi.it

 

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